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Servizi segreti a oriente di Costantinopoli

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Sostiene Peter Hopkirk che quando, nell’estate 1914, il Kaiser Guglielmo capì di aver sbagliato tutto, con gli inglesi, giurò di sollevare una Guerra Santa in Oriente, per azzerare la loro presenza da quelle parti. Tutto il mondo islamico doveva essere sollevato contro “questa nazione odiosa, bugiarda e senza scrupoli”; il Kaiser tedesco era pronto a coinvolgere i popoli del Caucaso, della Persia e dell’Impero Ottomano per destabilizzare i più remoti interessi imperiali inglesi, magari facendo circolare il falso mito di una sua imminente o addirittura segreta e già avvenuta conversione all’Islam. Serviva partire dall’India, quello era il tallone d’Achille: una volta strappata l’India all’Inghilterra, magari col contributo dello Scià di Persia e dell’Emiro dell’Afghanistan, tutto il resto dell’impero britannico sarebbe venuto giù velocemente, tenuto insieme com’era giusto da “spacconate e inganni”. E magari, a quel punto, i tedeschi potevano sostituire gli inglesi come “guardiani del mondo”; una Turchia debole, condizionata e influenzata da Berlino, poteva e doveva servire come base economica e politica per egemonizzare l’Asia, scacciando gli inglesi dall’India e i russi dal Caucaso; la Guerra Santa turco-tedesca poteva diventare una nuova versione del Grande Gioco, campo di battaglia esteso da Costantinopoli fino a Kabul, fino alla Persia e oltre. Il Sultano, come Califfo dell’Islam, aveva buona (forse non proprio “piena”...) autorità per chiamare alla Guerra Santa tutti quei popoli; e così fu, perché a tre mesi dallo scoppio della Grande Guerra l’Impero Ottomano si ritrovò alleato a Germania e Austria-Ungheria, chiamando, come da copione, i musulmani a uccidere i cristiani “ovunque essi fossero”. Notevole a quel punto fu l’apprensione inglese, in India e ovunque loro amministrassero popoli musulmani; grande invece la soddisfazione di quei propagandisti, come Paul Rohrbach, che scrivevano che il destino della Germania riposava ad Est: in Turchia, in Mesopotamia, in Siria e altrove. D’altra parte, che ci fosse una spregiudicata e sconcia simpatia tedesca nei confronti dei turchi era stato chiaro a tutti, in Europa e in generale nel Mediterraneo, quando, già nel 1894, il Kaiser aveva solidarizzato col Sultano che dalle nostre parti chiamavano “Abdul il dannato” e trattavano più o meno da appestato: era quell’Abdul Hamid che vantava, già trent’anni prima del Genocidio degli Armeni, circa 55mila armeni massacrati per questioni di mera crudeltà e smania di annichilimento; quegli armeni domandavano semplicemente maggiori diritti come cittadini (o meglio “sudditi”) dell’impero, confidavano poi, poveri loro, nel caso di rappresaglie e ritorsioni del Sultano, nella solidarietà della cristianità. A commemorare quell’insopportabile simpatia tra tedeschi e turchi fu una fontana, enorme, dono germanico al Sultano. Si trova tuttora nella povera Costantinopoli, ormai Istanbul, nel mezzo delle rovine dell’Ippodromo Romano: silenziosamente comunica tante cose a chi vuole osservare e capire davvero...

Peter Hopkirk, da Nottingham, classe 1930, antenati scozzesi (Roxburghshire) è stato un apprezzato giornalista e storico inglese, particolarmente sensibile alle questioni asiatiche e orientali in genere. Già corrispondente da New York per il «Daily Express» e dal Medio Oriente e dall’Asia per il «Times», alle spalle esperienze militari come ufficiale nei King’s African Rifles in Somalia, in Italia è stato sin qua apprezzato soprattutto per due notevoli Adelphi: il primo titolo è Alla conquista di Lhasa (2008; pubblicato in UK nel 1982 come The Race for Lhasa), libro basilare per ricostruire fortune e disgrazie delle prime, improbabili spedizioni partite alla volta del Tibet, prima della disastrosa e genocidaria aggressione cinese di metà Novecento; l’altro titolo è il celeberrimo Il Grande gioco (2004; pubblicato in UK nel 1990 come The Great Game), venerato dall’augusto Patrick Leigh Fermor e da Edward Said. Si tratta di un libro dedicato agli antagonismi tra i Servizi Segreti in Asia Centrale e alle strategie geopolitiche degli imperi inglese e russo, estremamente dettagliato e accurato, proprio come questo suo seguito. Più recentemente, la nuova direzione editoriale della Settecolori ha dato spazio a un altro suo saggio, immagino complementare: Sulle tracce di Kim. Il Grande Gioco nell’India di Kipling (2021). Questo On Secret Service East of Constantinople: The Great Game and the Great War, pubblicato in UK nel 1994 e negli US nel 1995, col titolo Like Hidden Fire: The Plot to Bring Down the British Empire, vede invece la luce qui in Italia nel 2022, sempre per merito della Settecolori di Milano, settimo titolo della collana “Foglie d’Erba”, nella traduzione di Fabrizio Bagatti, col titolo Servizi Segreti a Oriente di Costantinopoli. A dar retta a Roberto Balzani del «Sole 24 Ore» in questo saggio “Hopkirk, secondo il suo solito, si muove molto meglio fra le biografie che nella ricostruzione di contesto, piuttosto convenzionale e un po’ semplificata: la Guerra Santa promossa dal sultano-califfo appare infatti un mito assai più fragile dell’idea di Medio Oriente formato da Stati-nazione indipendenti, promossa propagandisticamente dagli inglesi fra il 1917 e il 1918. Se si tratta di inseguire i suoi incredibili personaggi, però, egli diventa un autentico segugio, spremendo le fonti fino ad ottenerne distillati assai pregiati”. L’edizione comprende una buona bibliografia, un opportuno indice dei nomi, un ottimo indice delle illustrazioni; correda l’edizione la buona e cauta postfazione di Roberto Zavaglia (“Il Grande Gioco un secolo dopo. Fra geopolitica e sogni di gloria”).