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Shining Girls

Shining Girls

La pioggia non smette di cadere, in questa notte gelida e livida. La sabbia che fa croc sotto le scarpe di Harper non è che fango ghiacciato: perfino l’aria umida brucia nei polmoni del fuggitivo. Correre, certo. Harper non può fermarsi, le luci oscillanti delle lampade sono ormai sparse dietro di lui lungo la sponda erbosa del lago. Si infila in un canneto, svolta per un microscopico sentiero. Le luci cambiano direzione, li sta seminando. La casupola è molto malandata ma abitata, la donna apre la porta ed esce fuori proprio davanti al fuggitivo. Indossa una giacca tre volte la sua taglia, occhi vuoti e spenti, corpo esile da acciuga. Harper non ci pensa molto, la afferra al collo per impedirle di urlare. Contro la parete di legno lei si dimena, ma solo per poco: poi si lascia andare come una marionetta senza fili. Lo sguardo sgranato del ragazzino non smette di fissarlo dall’interno della stanza. Urla. Forte, acuto, impossibile non udirlo nella pioggia. Harper sfila la giacca della donna e corre via. Eccole le luci, ancora dietro di lui. Stavolta sarà molto più dura. Mette il piede su un tendone, trova il vuoto sotto. Giù. Costola contro stufa in ghisa. Tallone contro il duro terreno e le cianfrusaglie che lo popolano. Dolore lancinante. Fiato mozzo. Maledetta notte. Che colpa ne ha Harper se il grassone si è fatto uccidere come un pollo?

Autrice di sceneggiature televisive, giornalista e vincitrice del premio “A. C. Clarke” nel 2011, Lauren Beukes si cimenta qui nel genere horror. Scelta che sicuramente sorprenderà i lettori ormai abituati a vederla nelle vesti di scrittrice di fantascienza (Moxyland, Zoo City) ma che non delude. Con uno stile assolutamente personale, evocativo più che descrittivo, dipinge e mette in azione una Chicago oscura, piovosa. Una sorta di giungla urbana, ripresa fra i poli opposti della depressione economica degli anni ’30 e l’esplosione di una nuova età dell’oro fra gli ’80 e i ’90. Uno scenario delineato alla perfezione: fra notti interminabili, piovose, perennemente gelide e giornate stantie, immerse nella calura più torrida. In questo continuo vagabondare avanti e indietro nel tempo, fra notte e giorno, caldo e gelo, pioggia e sole, la costante sono i personaggi. O meglio, la natura dei personaggi. La Beukes ci presenta un popolo che vive ai margini e che soltanto per necessità lambisce di tanto in tanto la normalità. Ecco, dunque, i disperati che vivono sulle sponde del grande lago Michigan. Schiacciati dal peso della Grande Depressione, privati da ogni parvenza di umanità e ormai abbrutiti anche fisicamente. Ad una marginalità generata dalla primordiale lotta per sopravvivere si affianca un nuovo genere di disperazione, più sfumato e strisciante: l’emarginazione creata dallo sviluppo economico. Alienati da un’esistenza sfortunata, minata da traumi irrisolti, i nuovi disperati sembrano aver perso ogni interesse al mondo esterno. È il popolo delle periferie suburbane, i sommersi che vivono di espedienti e non riescono a emergere dal fango. Anche fra costoro, tuttavia, possono esistere persone speciali, gemme luccicanti nell’oscurità.