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Siamo nati in casa

Siamo nati in casa
Il parto non è la maledizione di Eva, non lo è mai stato. Non è punizione né malattia, “è il più grande rito di passaggio di mezza umanità”, grazie al quale ha inizio non una sola vita, ma due, quella della mamma e del suo bambino. La medicina occidentale, bene o male, ha fatto dell’evento nascita un territorio di propria esclusiva competenza: bene perché è indubbio che il progresso nelle cure mediche sia uno dei fattori che hanno condotto, dal dopoguerra ad oggi, alla drastica riduzione delle morti materne e perinatali; male perché è gradualmente venuta meno la partecipazione attiva della partoriente e della sua comunità femminile di riferimento, la ritualità e il senso di rispetto e di mistero per l’evento, ma anche per il corpo femminile, sottoposto al controllo medico e privato di un sapere antico che appartiene più all’universo delle percezioni femminili. Ma una partoriente non è una “paziente” e dare alla luce un bambino non è come attendere il proprio turno per l’appendicectomia, non è solo anamnesi e storia clinica, dati di laboratorio e tracciati, è prima di tutto la costruzione di una relazione unica. Far nascere in casa un figlio, allora, è l’alternativa ad una medicalizzazione ingombrante e ladra di vissuti emozionali, un modo per riappropriarsi di istantanee troppo preziose per barattarle con una fiala di ossitocina…
Quando arriva il momento di partorire, non si può fare altro che mettere al mondo il bambino e ciò vale anche quando la creatura da consegnare al mondo è un libro: vissuta in pienezza l’esperienza dei suoi due parti in casa, per la Zaccherini erano ormai mature le circostanze per raccontare la storia di quei giorni, di quegli attimi intensi e attraverso la narrazione, restituire alle donne la fiducia nel proprio istinto da leonesse, nella potenza della natura che da millenni riproduce se stessa e si mette al mondo grazie alla sala parto più attrezzata, il corpo femminile. Ma soprattutto, il libro racconta quanto l’esperienza del parto appartenga alle donne, che ne sono artefici e protagoniste; tutto il resto, tutti gli altri, in casa o in ospedale, sono soltanto il contorno, che assiste, che osserva, aiuta e può, deve intervenire, ma con discrezione e rispetto. Riflessioni argute e stile avvincente completano la dotazione di questo memoir, scritto per trasferire e condividere una verità emotiva che non pretende di imporre una scelta, semmai, propone una discussione sulle contraddizioni e le strane convinzioni del nostro tempo.