
Milano. Primo Maggio 2015. Il commissario Pasubio è in ufficio, accanto al ficus Benjamin, insieme a tutto il resto della sua squadra e sta ascoltando le parole del Primo Ministro Matteo Renzi, che si appresta a inaugurare Expo Milano 2015. All’improvviso realizza che, esattamente un anno prima alla stessa ora stava percorrendo le vie della città, cercando di dimenticare la fine assurda di Elena, la collega con la quale stava nascendo, forse, una storia importante, morta sul nascere a causa delle bizze di un destino beffardo. Assorto nei suoi pensieri, non realizza subito che il telefono sulla scrivania sta squillando da diversi secondi. Quando solleva la cornetta, una voce che non si identifica, all’altro capo del filo, comunica la presenza di un cadavere, all’interno di un cassonetto, nella piazza antistante l’ospedale Sacco. Ed è effettivamente così. Quando, poco più tardi, insieme al collega Vicari, Pasubio raggiunge il luogo indicato, recupera dall’immondizia un corpo umano, infilato in un sacco di tela. Occorre agire con estrema discrezione. Il luogo del ritrovamento è davvero vicino alla sede di Expo ed è bene non si diffonda subito alcuna voce relativa al cadavere, per non creare preoccupazione o allarme. Pasubio nota che al centro del piazzale c’è un unico chiosco bar e decide di scambiare quattro chiacchiere con il gestore, nella speranza che l’uomo possa aver notato qualcosa. Decide di tastare il terreno partendo da lontano. Ordina un caffè e chiede quali siano gli orari di apertura del chiosco. Valuta quindi che il cadavere è stato infilato nel cassonetto sicuramente tra le otto di sera e le sette del mattino. Il commissario più anziano, Bergonzi, che nel frattempo l’ha raggiunto, comunica a Pasubio che un ordine superiore ha disposto che il cadavere debba essere spostato dal luogo del ritrovamento, la cui vicinanza alla manifestazione potrebbe davvero comprometterne gli esiti. E una tale ipotesi non può essere neppure lontanamente contemplata...
Una telefonata anonima arrivata in Questura in un caldo giorno d’estate dà il via a una caccia all’uomo, nella periferia lombarda, che si intreccia alla vita privata dei personaggi coinvolti, appunto, nella caccia. Il quarto romanzo di Lorenzo Roberto Quaglia - autore milanese che ha fatto di Bollate la propria residenza; una laurea in Giurisprudenza e una profonda passione per la scrittura - racconta una nuova avventura del commissario Pasubio, personaggio estremamente interessante, le cui caratteristiche vengono approfondite storia dopo storia. L’intreccio - che rispetta le caratteristiche più classiche della trama gialla e mostra la padronanza, da parte dell’autore, della tecnica legata a quel genere narrativo - si muove su due strade parallele, in cui la vita personale del commissario si sovrappone ad accadimenti passati le cui conseguenze gravano ancora pesantemente sul presente dei protagonisti. La vicenda scorre agile sulle pagine; la struttura è ben articolata pur nella sua essenzialità. Quaglia si serve di un linguaggio semplice, ma mai banale o scontato. Quel che va maggiormente apprezzato - e che non è facile ottenere in un racconto giallo - è la pressoché totale mancanza di volgarità, mentre gli aspetti delittuosi, inevitabili, vengono raccontati senza la necessità di ricorrere alla crudezza o a un’eccessiva violenza. La vicenda del commissario Pasubio e degli altri personaggi messi in scena da Quaglia, inoltre, offre al lettore una chiave di lettura che va oltre la pur complessa soluzione di un caso intricato. L’autore mette in scena l’uomo e le sue fragilità, si interroga sul senso della vita e sulla difficoltà, tipicamente umana, di creare una rete di relazioni che si mostri solida e che non tema di essere abbattuta dal primo soffio di vento. Spunti di riflessione interessanti per un romanzo che pone comunque al centro della vicenda l’uomo, le sue paure e le sue cicatrici. Una lettura garbata e consigliata, anche per il finale, niente affatto scontato.