
La vita delle persone cambia in pochi attimi. Basta che qualcuno, chissà dove, decida di non importare più pomodori dalla Turchia e il padre di Fazıl, che sui pomodori ha investito tutto, si ritrova fallito, depresso, gli viene un’emorragia cerebrale e muore. Fazıl, studente di letteratura abituato a una vita agiata, si ritrova di colpo senza padre e senza lusso. Tuttavia, per costruire un castello di carte che lo protegga dalle aggressioni della vita, decide di non lasciare l’università e va a vivere in una stanza a pochi soldi, in un vecchio han in cui si ritrovano tutti coloro che non hanno trovato il loro posto nel cuore disastrato della città. Un giovane padre vedovo, un trans, un buttafuori gentile, il caporedattore di una rivista politica clandestina. Per guadagnare qualche soldo Fazıl si presta come figurante in un programma televisivo di second’ordine e lì conosce le due figure che gli cambieranno la vita. Due donne: Hayat Hanım, diversi anni più grande di lui, e Sıla, una coetanea, anche lei studentessa di letteratura. Ha inizio il più classico dei triangoli amorosi, e le figure sfaccettate di queste due splendide protagoniste prendono la scena. Hayat vive la vita a cuore leggero, senza fare progetti, senza dare gran peso ai soldi o al domani; si fa beffe di chi si prende sul serio, degli scrittori, della letteratura; scopre la vita attraverso i misteri della natura. Sıla, anche lei orfana del benessere familiare che prima la circondava, cerca vie d’uscita da un presente che si fa sempre più opprimente, progetta un futuro altrove, prende la vita come un edificio da costruire mattone su mattone. Nel mezzo Fazıl…
Signora Vita è uno dei libri scritti da Altan durante i cinque anni di detenzione a cui è stato condannato per aver, a dire dell’accusa, diffuso attraverso i social media messaggi subliminali che spingevano al colpo di stato. Ma il romanzo non ha pressoché nulla a che vedere con il carcere. Altan rimane fedele a un tipo di scrittura classica, per certi versi ottocentesca. Per sua stessa confessione, ama quel tipo di romanzo, quello che si addentra nello scavo psicologico dei personaggi, che indaga i sentimenti, la loro determinazione sociale e individuale. Fazıl oscilla fra la femminilità corporea ed edonistica di Hayat, e quella intellettuale di Sıla. Entrambe mascherano aspetti diversi della figura materna e li declinano diversamente. Con Sıla discute di letteratura e di futuro, condivide lo sradicamento di classe, l’orizzonte cupo che si profila ai giovani di questo tempo. Con Hayat schiude la possibilità all’evasione e al piacere, a una vita danzata, piuttosto che a una programmata. Sullo sfondo, mai nominata, c’è Istanbul. In effetti da un punto di vista formale, il romanzo ricorda i quadri del Rinascimento italiano nei quali le figure protagoniste, dipinte nella loro complessità psicologica, si stagliano sullo sfondo di paesaggi distanti, rarefatti ma magistralmente dipinti. E così fa Altan. Con alcune precise pennellate ci restituisce l’atmosfera di una Istanbul sempre più incupita, di una vibrante vita sociale che progressivamente si spegne, di bande armate di bastoni che girano per la città prendendosela con chi beve alcolici o con la minoranza LGBTQI. Una città in cui fioccano arresti per i motivi più futili, dove si impone il cartello di politica e interessi edilizi-imprenditoriali, dove la libertà d’espressione, persino nei santuari della classe intellettuale che sono le università, è sempre più minacciata. Chi conosce la storia della Turchia recente saprà riconoscere alcuni momenti topici del recente passato. La scrittura di Altan, rispetto a altri romanzi, tende a farsi più scarna ed essenziale, meno ricca di metafore e di ornamenti stilistici, ma pur sempre classica, priva di artifici postmoderni o di ardite costruzioni autoriali. C’è, dunque, il sapore della letteratura vecchio stile, quella che invecchia come i buoni vini, migliorando col tempo. Altan, ormai una delle voci turche più famose in Europa e nel mondo, prosegue la tradizione di tanti artisti suoi connazionali (basti pensare a Hikmet o Güney) ovvero di essere molto apprezzato, e a ragione, fuori dal proprio paese, ma non essere pubblicato in patria. Questo romanzo i turchi non lo hanno ancora potuto leggere. Fatelo voi.