
In principio fu lo Sputnik. Proprio così, il primo satellite artificiale lanciato nello spazio dall’Unione Sovietica ha determinato in un certo senso la spinta per la nascita di Internet. Siamo in piena guerra fredda, è il 1957 e dopo questa performance, gli Usa, ansiosi di ristabilire il loro primato tecnologico sugli eterni rivali, effettuano le prime ricerche per mettere a punto una primordiale rete di comunicazione. Si deve però aspettare il 1969 per arrivare a Arpanet, vero e proprio “embrione” della rete come la conosciamo; studiata e realizzata dal Dipartimento per la Difesa degli Stati Uniti, Arpanet si dimostra in grado di collegare quattro centri universitari del paese. Negli anni successivi è tutto un fiorire di nuove scoperte che ora per noi sono strumenti di uso comune, a partire dalla posta elettronica, che nasce nel 1972 implementando forme già esistenti di messaggistica, fino a arrivare ai nostri amati odiati social network. No, Facebook non è stato il primo: già nel 1972, infatti, alcuni studenti della Duke University sperimentarono una “rete sociale” sul web per poter discutere assieme su specifici “topic”. In Italia, si può dire, abbiamo un rapporto complicato con la rete: siamo sotto la media europea per utilizzo della rete ma sopra per quello dei social network. Come mai ci siamo appassionati a questi strumenti è tutto da dimostrare, sarà la passione per le chiacchere che è nel nostro Dna o l’ebbrezza di una vasta libertà di espressione, come quella che offrono questi mezzi. Ma che italiano usiamo sui social network? Di certo un’analfabeta non è in grado di muoversi al meglio anche su questi strumenti, dal momento che, in fin dei conti, altro non si fa che scrivere. Ma nello stesso tempo su Facebook & co abbiamo a che fare con un linguaggio “ibrido” e particolare, che combina elementi della lingua parlata e di quella scritta ma che presenta anche caratteristiche tutte sue. Un italiano dalla sintassi piana e dalla grammatica semplice, in cui è frequente imbattersi in acronimi, forme brevi, sigle. E così tra una bacheca e l’altra, è all’ordine del giorno leggere parole come “cmq”, “grz”, “poveraccismo”, “gombloddo” o ancora espressioni del tipo “novantadue minuti di applausi” o perfino “foreveralone”. Ma anche facce e faccine, per esprimere qualsivoglia sentimento, le cosiddette emoji. Ma come muoversi con disinvoltura in questo mare magnum di neologismi e nuove espressioni?
Quello di Vera Gheno è un “libro col sorriso”. Fa proprio bene Stefano Bartezzaghi a definirlo così nella sua introduzione. Perché insegna tantissimo ma non lo fa con un tono cattedratico o eccessivamente accademico. È un libro “alla mano”, senza un soffio di presunzione, nonostante Vera Gheno di esperienza nel settore ne abbia non poca: sociolinguista, collabora dal 2000 con l’accademia della Crusca di cui cura il profilo Twitter, oltre ad essere componente della redazione di consulenza linguistica. L’italiano e i social sono quindi il suo pane quotidiano. Già autrice di Guida pratica all’italiano scritto (senza diventare grammarnazi), sempre con Franco Cesati Editore, in questo agile volumetto si concentra proprio sulle parole che usiamo nelle piattaforme social, non prima però di fare un ampio excursus sulla rete in generale, sulla sua genesi e la sua evoluzione. Interessante la prefazione in cui racconta l’amore per la tecnologia, che l’aveva spinta a iscriversi in un primo momento alla facoltà di Ingegneria per poi cedere alla linguistica, materia di cui entrambi i suoi genitori erano docenti. E da lì poi una carriera che in un certo senso ha fuso queste due passioni. Come si evince da questo libriccino, che rappresenta uno strumento importante sia per chi i social li bazzica quotidianamente, per lavoro o semplicemente per abitudine personale, sia per chi invece sono ancora un universo inesplorato. La prima categoria si troverà quindi a analizzare con un po’ più di attenzione parole o non-parole che nel web sono all’ordine del giorno, riflettendo sulla loro origine e la loro opportunità – e pensare accuratamente a ciò che si scrive non fa mai male. I secondi invece troveranno finalmente una guida precisa ma mai pedante che permetterà loro di addentrarsi con maggiore sicurezza tra i meandri di un idioma tutto da scoprire. Fa bene a tutti soffermarsi sulla parte dedicata a come si sta in rete, agli “odiatori di professione” e a altri personaggi in cui di frequente ci si imbatte online e con cui è importante saper interagire; perché, come ha scritto Matilde Quarti nella sua recensione su Panorama, si tratta di “un argomento che, poiché Internet non è più un club ristretto di militari e scienziati ma un fenomeno di massa, si fa sempre più importante […] Bisogna saper parlare, sui social, ma anche sapere come farlo e con chi farlo”. Nel complesso, questo saggio fresco e godibile racconta quello che è diventato un pezzo della vita di tanti di noi, gli amati e odiati social, ormai una sorta di specchio della nostra società, in cui parliamo, discutiamo, ci confrontiamo. Dove comunque, come nel “mondo reale”, vale la celebre frase di Nanni Moretti nel film Palombella Rossa: “Le parole sono importanti”.