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Soli e perduti

Soli e perduti

Negli Stati Uniti, alla morte della moglie, Geremia Mendelshtorm decide di finanziare la costruzione di un nuovo mikveh, un bagno rituale ebraico per le abluzioni purificatrici, nella Città dei Giusti in Israele, dove si sarebbe dovuto recare con la propria consorte durante l’estate. Ricevuta la notizia, il sindaco Danino si attiva immediatamente insieme al suo assistente Ben Zuk, ex militare che vive la propria vita nel rimorso di avere perso per sempre il suo grande amore Ayelet. Colta questa occasione per trovare un obiettivo e sfuggire finalmente ai propri pensieri e alla propria solitudine, si affaccenda immediatamente e individua un capocantiere abile, in grado di eseguire la lavorazione in tempi brevi, il quale, però, a causa dell’ossessiva passione per l’ornitologia, si caccia nei guai con i servizi segreti e può guidarlo nella costruzione soltanto a distanza. A questo problema, inoltre, si aggiunge che il luogo prescelto per la struttura è sito nel quartiere Siberia, zona dove sono stati relegati gli immigrati russi dell’ex Unione Sovietica, che incoraggiano i lavori soltanto perché sono convinti che finalmente l’amministrazione si sia decisa ad accontentare il loro desiderio di avere un circolo ricreativo…

Vincitore del premio della Book Publishers’ Association e del FF-Raymond Wallier Prize, Soli e perduti è stato definito da alcuni critici come un romanzo in cui si ritrova il Nevo tipicamente israeliano degli esordi. Complice di tale valutazione è certamente l’ambientazione in Israele nell’immaginaria Città dei Giusti e il tema religioso, trattato negli aspetti quotidiani della vita dei personaggi al fine di evidenziarne non solo la radicata influenza sulla mentalità, ma anche allo scopo di coglierne talvolta l’ipocrisia nelle relative azioni. Tuttavia, considerando limitativo un giudizio meramente ascritto a questo aspetto, il vero pregio del romanzo è il mantenimento della promessa adombrata nel titolo: tutti i personaggi, a prescindere dalla religione o dall’allocazione geografica o dalle loro vicende personali, sono avvolti da questo senso di solitudine e dal pressante bisogno di appartenenza. Anton vuole trovare un posto da chiamare patria. Danino sfoga sulla carica pubblica il dolore, mai elaborato, per la perdita del figlio. Ben Zuk è tormentato dal rimorso di essersi lasciato scappare la donna della sua vita, eppure, quando ha la possibilità di rimediare, preferisce trascinarsi sulla stessa strada, piuttosto che imboccarne una nuova. Nel descrivere i loro pensieri – talvolta in uno stile apparentemente contorto dato dal preponderante uso del discorso indiretto – Nevo mostra una sensibilità unica ed esplora gli angoli della natura umana, svelandone spigoli e toccando delle corde in profondità care a tutti, in particolare con la tecnica del flashback nella rievocazione dei ricordi. A ciò, infine, si aggiunge l’inimitabile cifra stilistica di alleggerire il quadro con delle situazioni equivoche, persino simili a quelle ritrovabili in una sit-com, secondo un humour frizzante e quasi pirandelliano, non solo perché tutti sembrano imbrigliati in convenzioni o in ideologie, ma soprattutto per la riflessione sottesa che porta avere una compassione verso costoro, “vittime” delle piccole circostanze tragiche occorse.