
Oriana Anastasia Talide nasce a Firenze il 29 giugno del 1929 da Tosca e Edoardo Fallaci. Da parte della madre ha anche radici spagnole, di Barcellona per l’esattezza. Ma lei si ritiene “fiorentina pura”. “Fiorentino parlo, fiorentino penso, fiorentino sento”, afferma fieramente da sempre. Il secondo nome, che doveva essere il primo, ha una storia molto particolare. Inizialmente doveva essere pronunciato con l’accento sulla ì, come la sua bisnonna, figura femminile sui generis, ma dopo aver scoperto che morì suicida Tosca e Edoardo pensarono bene di non dare il nome di quella donna alla loro figlia, di lasciarlo perlomeno in seconda battuta, e da pronunciarsi con l’accento sulla a, come la duchessa di Guermantes insomma. Nella casa di via del Piaggione Oriana vive con i genitori e i nonni. Il nonno Mario era l’amante proprio della leggendaria bisnonna Anastasìa. Non si capì mai fino in fondo perché finì per sposare sua figlia Giacoma, sicuramente più brutta. Si racconta che la giovane, innamoratissima, gli avesse regalato una serie di sue fotografie che lui per disprezzo gli restituì tagliuzzate; Giacoma, presa dalla disperazione, pianse così tanto da infilarsi le forbici in un occhio, rendendolo per sempre un mucchietto di carne e mucosa grigio e spento e lui per il senso di colpa la prese in moglie. Oppure più semplicemente, decise di sposarla per fare un torto alla madre, che l’aveva lasciato. Oriana dorme in uno stanzino pieno di libri comprati a fatica dai suoi genitori. È tra quelle mura che scopre volumi che diventeranno fondamentali per la sua formazione, uno per tutti le Mille e una notte. Non sono tempi felici quelli della sua infanzia: c’è la miseria, la guerra, il fascismo, ci sono le bombe. Ma è anche un’infanzia piena di eroi, almeno per 11 mesi, dall’8 settembre 1943 all’11 agosto 1944. Suo padre Edoardo è infatti uno dei capi partigiani in città, comandante militare per il partito d’Azione e Oriana è staffetta di città e di montagna. Porta armi, giornali, messaggi clandestini. Finita la guerra frequenta il liceo classico Galilei. È una “rompiscatole”, è abituata a frequentare politici e sindacalisti, l’esperienza degli anni passati l’ha segnata e la porta a dire sempre quello che pensa, anche a costo di risultare scomoda. Ma studia con fervore, raggiungendo sempre l’agognata media dell’otto che riesce a dispensare i suoi genitori dal pagare le tasse scolastiche. E così, dopo un brillante esame di maturità, nonostante la passione per la scrittura si iscrive a Medicina, seguendo i consigli dello zio Bruno, famoso giornalista e uomo di lettere, per ritrovarsi già poco dopo reporter di cronaca nera…
Il titolo di questa raccolta di scritti spiega tutto. Mai Oriana Fallaci avrebbe autorizzato una sua biografia e l’unica persona in grado di raccontare la sua vita era inevitabilmente e unicamente lei stessa. Del resto, e lo ammette in prima persona, ha sempre scritto di lei anche quando scriveva degli altri. C’è Oriana nelle grandi interviste, c’è Oriana nei reportage, c’è Oriana in quelle storie di guerra e di libertà di cui parlano i suoi libri. “Non nego di essere capace di scrivere solo di me stessa. È un grosso limite forse, ma è anche la verità. […] Quanto alle interviste, è verissimo che io sono spesso un personaggio determinante: ma questo per me è un atto di onestà, perché rendo chiaro che quello è il mio punto di vista. Io all’obiettività non ci credo. […]”. Solo io posso scrivere la mia storia è una biografia sui generis, costruita mettendo insieme saggi e scritti. Non ha, data la sua struttura frammentaria, la forza narrativa, l’andamento coinvolgente di altre opere di Oriana Fallaci, a metà tra romanzi e reportage, che sono diventate delle pietre miliari e che rappresentano un esempio e un punto di riferimento anche per chi al giorno d’oggi voglia avvicinarsi alla professione giornalistica; non ha la potenza nemmeno di quei saggi che tanto hanno diviso l’opinione pubblica ma che comunque mai sono passati inosservati e sempre hanno fatto riflettere. È il risultato di un lungo lavoro di ricerca che mescola scritti celebri a altri meno conosciuti e inediti. Unisce appunti, in particolare quelli dedicati alla stesura de Un cappello pieno di ciliegie, per la parte dedicata alla sua famiglia, a racconti inediti, scritti vari, stralci di interviste e di altre opere, come Se il sole muore, La rabbia e l’orgoglio e altre ancora. Non basta forse questo volume per comprendere appieno la forza di Oriana Fallaci e conoscere le sue tante esperienze, ma è comunque un assaggio per almeno in parte conoscere chi era, come si è formata, che rapporto aveva con la scrittura, e scoprire la sua vita ricca di incontri e avventure, attraverso il suo stile pungente e personale che caratterizza anche questi frammenti. Parliamo di una figura emblematica, ma anche controversa, una di quelle che o la ami o la odi e questo lei l’ha sempre saputo. Ma del resto di essere amata l’è sempre importato poco. “Ritengo d’essere amata senza essere capita. E non capisco quella eccitazione che v’è intorno a me. E rifiuto il divismo che a poco a poco s’è andato creando intorno a me. […] E non credo ai miti, meno che tutti, al mio”. Una penna tagliente, la sua, capace di entrare nella carne viva della Storia, quella con la S maiuscola, senza aver paura di descrivere ogni dettaglio, anche scomodo, di dire quello che non va, di andare controcorrente, perché “il compito di uno scrittore, di un giornalista non è quello di essere amato, lusingato, adulato [... ] Il compito di uno scrittore, di un giornalista, è denunciare ciò che è male e va male: costi quel che costi, compreso l’esser odiato, attaccato, insultato”.