
È il 20 luglio 2001. L’anticiclone delle Azzorre preme l’Italia dentro una morsa di calore senza precedenti. Giacomo, Enzo e Filippo, trentenni romani borghesi, amici fin dai tempi del liceo, hanno deciso di raggiungere Lavinio dove la cugina di Giacomo festeggia il compleanno. Prima però, una bella “cena di pesce” sul litorale di Anzio non gliela toglie nessuno, la cena di pesce, prova ontologica dell’estate, “cioè della stagione che per noi è stata definita «identitaria», l’unica che i catto-mediterranei ritengono valga la pena di vivere, eventualmente soffrendo, ma di una sofferenza che è anche piacere. Piacere del caldo, del sudore, di bermuda & infradito, della spossatezza e dei sonni meridiani, delle serate lunghe, all’aperto, seduti ai tavolini di bar e ristoranti…”. Quella verso il mare è quindi l’unica direzione possibile per GEF, un sistema desiderante, un triangolo isoscele, al cui centro campeggia, come l’occhio di Dio, Biba: croce e delizia Biba, fidanzata di Giacomo e amante di Enzo e Filippo. Ma dov’è Biba? Perché non è al suo posto, al centro delle loro vite?
Da Lavinio a Genova sono circa 600 km. Tutto sommato neanche così tanti. Eppure la distanza tra quello che vivrà Biba e quello che vivranno Enzo, Giacomo e Filippo sarà siderale. Perché quel giorno Biba è a Genova, al G8. Sarà testimone degli scontri e vivrà da vicino la morte di Carlo Giuliani. Sentirà il rumore della carne aprirsi sotto i colpi dei manganelli, vedrà la pelle gonfiarsi, le ossa rompersi, il sangue rapprendersi sulle strade della città. Giacomo, Enzo e Filippo invece saranno a una noiosissima festa di trentenni, a osservare le proprie incerte, quando non inerti, traiettorie di vita, a scrutarsi, soppesarsi, valutarsi, a immagine e somiglianza della città che abitano, informe e monolitica nella sua indifferenza a ciò che accade fuori da sé. Talmente tanto aderenti allo sfondo su cui si muovono che la plausibilità dei loro gesti, dei loro dialoghi e degli spazi che abitano è una delle vere e proprie perle di questo romanzo. Cifra stilistica di Francesco Pecoraro, la “digressione”, che ibrida il romanzo con il saggio, torna anche in queste pagine (dopo Lo Stradone e La vita in tempo di pace) sotto forma di un ragionamento dell’io narrante da una dimensione futura (il nostro presente) in cui G8 e Torri Gemelle, Charlie Hebdo e Bataclan, internet e intelligenza artificiale sono già “successi” ed esercitano tutta la loro forza gravitazionale esplicativa, come a voler dire che quello che sta succedendo a Genova non poteva che andare così, Genova è l’ultimo evento allegorico di una storia a cui cominciano ad andare strette le categorie novecentesche: lotta di classe, Partito, individuo, collettività, fascismo, capitalismo, comunismo, ideologia. Categorie che, a stento, riescono a spiegare fino a lì e che proprio nelle mani di uno scrittore lucido e acuto come Pecoraro dimostrano di non poter andare oltre. Dove, per adesso, si intravede solo il mare.