
Può succedere che tu stia camminando per i fatti tuoi e improvvisamente ti ritrovi in un altro mondo: “Passeggiavo per la periferia di Tenerife e mi sono imbattuto in un sentiero… E io non ero più sulla terra, ma qui, su Saturno… Su Saturno l’uomo coltiva il metallo. Argento, per lo più”… Oppure, per la serie “scrivi di ciò che sai”, oltrepassare ogni limite, arrivare alla violenza e al sadismo per scrivere il più realisticamente possibile: “Volevo scrivere un romanzo lirico-pornografico. Ho ucciso così mia madre; l’ho aperta con un coltello e ne ho sondate le profondità. Tastate le viscere, nudo a nudo, penetrata nell’incisione da me praticata”… “C’è ressa davanti alla serranda ancora chiusa. Dentro il locale un cadavere meraviglioso… L’unico corpo al mondo privo di sesso… Pagando una moneta – forse l’obolo caronteo, forse cifra simbolica – i presenti potranno osservare il corpo”; chi resiste alla morbosa curiosità di osservare da vicino la diversità, soprattutto se riguarda il sesso?… “Riesumarono la nonna dopo trent’anni di assenza. Le ossa vennero regalate ai nipotini… I frammenti del bacino – che nel frattempo era stato calpestato – furono chiusi dentro un barattolo di vetro e lasciati sul davanzale della finestra. A maturare, a maturare, spiegava la figlia”…
Gabriele Galloni è un giovane poeta romano, con già tre raccolte nel suo bagaglio. In Sonno giapponese si cimenta con successo nella prosa, nella non semplice coniugazione del racconto. Surreali, splatter, assurdi (nel senso più sartriano del termine, eventi/dialoghi che si susseguono senza un senso particolare) sono queste le definizioni più calzanti per questi racconti brevi, a volte brevissimi, che molto spesso hanno in sé una morale o quantomeno uno squarcio di verità, al di là della loro apparente inverosimiglianza. Il titolo proviene da uno dei racconti ma non stupirebbe se fosse riferito proprio al tipo di storie che attraversano il libro, storie che potrebbero tranquillamente essere sogni trascritti, tanto il paesaggio situazionale e ambientale ricorda un paesaggio onirico, dove il surreale ha una sua giustificazione simbolica, psicoanalitica. Galloni mostra un interesse specifico per la morte, come già ci avevano insegnato le poesie di In che luce cadranno, silloge tutta dedicata alla “vita” che i defunti conducono nel loro regno ultraterreno. Morti violente, violenze psicologiche, perversioni che qui vengono portate al loro polo più estremo, ma che, a ben guardare, non sono altro che un’iperbole di ciò che nel quotidiano è facile incontrare. L’autore mostra una buona capacità di creazione e di narrazione, tenendo il filo della trama per restare sempre sul limite di una crudezza sopportabile nelle storie più crude.