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Sono Cesare…tutto bene

Sono Cesare…tutto bene
È il giorno dopo Ferragosto. Uno dei due all’anno in cui, per dire, a Siena di solito si corre il Palio. A Limone Piemonte, invece, no. È il 1987. Giovanni non è un fantino. Ed è a Limone Piemonte. Apre la finestra. Sole, aria pura, mirtilli, lamponi. Non sa quello che lo aspetta. Lo chiamano. Ad alta voce. Distogliendolo dai suoi pensieri. Deve tornare nella sua città. A Sanremo. Deve partire. Lo aspettano fra tre giorni. A La Spezia. È arrivata una cartolina. Quella cartolina. Quella che tutti i ragazzi, e le rispettive famiglie, di solito sperano che non arrivi mai. Confidando nella mai tanto desiderata inefficienza del patrio servizio postale. A tutti dispiace lasciare la propria casa, oltretutto per impiegare tanti lunghi mesi, per non dire anni, in qualcosa che non è il proprio futuro. Anche se la famiglia di Giovanni è indecifrabile. Genitori improbabili. Imprevedibili. Anche se da quella esperienza può nascere qualcosa di inatteso. Di buono. Giovanni allunga il militare per fare l’università. Scienze Politiche. E poi inoltra una domanda, per diventare educatore di disabili intellettivi. E incontra Cesare. Che ha la sindrome di Martin – Bell. Iperattività, deficit di attenzione, instabilità emotiva, comportamento di tipo autistico. Giovanni aiuta Cesare. Ma anche Cesare aiuta Giovanni…
Così come i film biografici hanno spesso il problema di non riuscire a evitare la virata verso la stucchevole agiografia imbottita di enfasi, allo stesso modo può accadere per i libri quando si racconta una storia vera. Soprattutto quando è uno dei protagonisti a parlarne direttamente. Non è questo però il problema dell’agile volumetto di Tommasini, che ha anche dei pregi: è interessante, per esempio, la modalità narrativa. Frasi brevi, frammenti, istantanee. Intervallate da numerose – più o meno note, più o meno evitabili – citazioni. Quasi un montaggio cinematografico. Il problema è l’editing: non tanto per la veste grafica della copertina, che anzi è piacevole a vedersi e mantiene una diretta corrispondenza a livello di sinestesia – il racconto di una medesima percezione attraverso differenti sfere sensoriali o, come in questo caso, modalità di linguaggio, immagine contro parola – col testo e con la storia in esso narrata, quanto all’interno. Refusi, mancata giustificazione dei margini, un sottotitolo che presenta ogni parola con l’iniziale maiuscola come se si trattasse del nome di un film made in USA scritto all’americana (ma perché ce l’avete tanto con le minuscole? Sono più umili delle tamerici di Pascoli, e prima ancora di Virgilio…), impaginazione approssimativa anche, se non in particolare, delle foto, e un’impressione generale raffazzonata, un po’ sciatta. Peccato.