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Sotto il culo della rana

1955. Gyuri, Róka, Gyurkovics, Demeter, Bánhegyi e Pataki giocano tutti nella Lokomotive Budapest, una delle più importanti squadre di pallacanestro ungheresi. Per gli interminabili viaggi per le trasferte nazionali di campionato o per le tournée in Romania o Jugoslavia – durante le quali affrontano pubblici violenti, risse, intimidazioni e persino tentativi di avvelenamento – utilizzano sempre il treno e precisamente un vagone di lusso che avevano fatto costruire le SS durante l’occupazione nazista, sul quale amano stare completamente nudi a giocare a carte o cazzeggiare. Gyuri pensa spesso a come sarebbe bello fare il netturbino a Londra, New York, Cleveland, in un posto qualsiasi purché in Occidente. Non solo il netturbino, ma qualsiasi lavoro umile: lavavetri, manovale, l’importante sarebbe non avere esami di marxismo-leninismo, martellamenti della propaganda sull’economia che cresce “perché la capacità di produzione socialista è stata sottovalutata” e foto del leader politico di turno attaccate ovunque. Non gli pare di chiedere molto, in fondo: “Mi basta uscire di qui. Tiratemi fuori”. La Lokomotive è una squadra di alta classifica ma di vincere contro la squadra dell’Esercito non se ne parla proprio. Loro hanno troppi vantaggi: le strutture migliori, i giocatori migliori – che attirano con la garanzia che se giochi nella squadra dell’Esercito non devi arruolarti nell’Esercito (“quello vero, in cui il vitto è scarso e ti fanno scavare trincee a temperature polari”). Del resto evitare il servizio militare è “il passatempo principale dei giovani ungheresi di sesso maschile dopo lo scopare”. 1944. Gyuri è uno dei tanti quattordicenni mobilitati dal governo collaborazionista di Ferenc Szálasi per affiancare la Wermacht che si sta sgretolando incalzata dall’Armata Rossa, che ormai è alle porte di Budapest. Il fratello maggiore – che è stato tre anni al fronte – gli ha dato buoni consigli (“(…) Se arriveremo al punto in cui ci sarà qualcuno tanto stupido da dirti di combattere, sparisci e nasconditi da qualche parte finché non è tutto finito”). Così Gyuri, prendendolo in parola, finisce rifugiato in cantina con tutti i vicini di casa per sei settimane, ad aspettare che russi e tedeschi finiscano la loro “animata discussione su Budapest”. Alla fine i soldati russi scoprono la cantina: svuotano le tasche di tutti gli uomini e violentano tutte le donne senza eccezioni, giovani e vecchie. Gyuri, rallegrandosi molto di non avere una vagina, esce dalla cantina e si incammina nella città in rovine conquistata dall’Armata Rossa. Le strade sono piene di cadaveri irrigiditi dal gelo…

Scritto nel 1989 nei mesi attorno alla caduta del Muro di Berlino mentre Tibor Fischer lavorava come inviato a Budapest ma pubblicato solo nel 1992 dopo una impressionante serie di rifiuti da parte degli editori britannici, Sotto il culo della rana prende il titolo dal modo di dire ungherese “A béka segge alatt” - qualcosa di simile al nostro “Dalla padella alla brace” ma con più pessimismo cosmico - ed è stato il primo romanzo d’esordio della storia ad essere nominato al Booker Prize. “Ovviamente un libro che racconta la storia di una squadra di pallacanestro nell’Ungheria degli anni Cinquanta non pare a prima vista un potenziale bestseller”, ha spiegato Fischer in una recente intervista. “Ma non c’è dubbio che l’industria editoriale era ai tempi (ed è ancora adesso) tutta schierata a sinistra. Se fosse stato un romanzo su un gruppo di contadini o allevatori di polli guatemaltechi che sconfiggevano l’imperialismo statunitense sospetto che avrei avuto un’accoglienza migliore”. Fischer racconta le peripezie di due amici e compagni di squadra tra la fine della Seconda guerra mondiale e la insurrezione ungherese del 1956. L’autore è nato nel 1959, ma gli eventi che racconta nascono dall’esperienza dei suoi genitori, entrambi giocatori di basket ungheresi fuggiti in Gran Bretagna durante la breve stagione del governo riformista di Imre Nagy, prima dell’arrivo dei carri armati sovietici e della sanguinosa repressione. Tra i ricordi di famiglia sulla rivoluzione del 1956 e l’influenza profonda dei movimenti del 1989, non stupisce che Fischer sia visceralmente anticomunista e questo sentimento naturalmente permea l’intero romanzo. Sotto il culo della rana è sì una commedia, tutto sommato, ma il sarcasmo qui è acido e rabbioso. Poca ironia, molto rancore.