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Sparire quasi del tutto

Sparire quasi del tutto

Londra, 3 agosto 2018. Stasera c’è il suo cocktail di compleanno. Trentadue anni. Nina - che porta George come secondo nome, in onore di George Michael, il cantante degli Wham! - ha trascorso la giornata da sola, facendo e mangiando le cose che maggiormente ama. A colazione si è preparata un uovo in camicia: una delle tre cose che a trentadue anni sa fare alla perfezione. Le altre due sono: porre domande specifiche ai suoi interlocutori per farli parlare a lungo quando lei non ha alcuna voglia di farlo e arrivare con cinque minuti di anticipo a un appuntamento. Nel pomeriggio è rimasta nel suo appartamento, quello che ha deciso di acquistare da sola. Non è grande: ha una sola camera da letto al primo piano di uno stabile vittoriano. Due sono i suoi vicini: una vedova di nome Alma, che vive al piano superiore e le regala spesso teglie di cibo buonissimo, e un uomo al piano terra che pare parecchio misterioso dal momento che, a un mese dal trasloco, Nina non lo ha ancora incontrato. Nina ha acquistato la casa con i suoi risparmi, unendo i guadagni delle vendite del suo primo libro - dove sono raccolte ricette ispirate all’antica tradizione, alle amicizie e alla sua unica lunga relazione, quella con Joe - all’anticipo per il secondo. Nina e Joe sono rimasti amici e la food writer ha conosciuto anche l’attuale ragazza del suo ex, Lucy. Proprio a causa sua, stasera Nina non ha invitato Joe all’aperitivo organizzato per il compleanno. No, non l’ha fatto, perché chiamare lui avrebbe significato estendere l’invito anche a lei e Lucy, per quanto inoffensiva, trasmette a Nina una strana sensazione, come se qualcosa di non detto aleggiasse tra loro. Soprattutto, la infastidiscono i ripetuti abbracci della ragazza ogni volta che le due si incontrano. In quelle occasioni, Lucy non fa che ripetere quanto Nina sia importante per Joe e quanto lei desideri esserle amica. In tutto, sono una ventina le persone invitate al cocktail: amici dei tempi della scuola, qualche vecchio collega e alcuni dei nuovi, diversi compagni d’università...

Il diario di Bridget Jones ai tempi dei social: così è stato definito il romanzo di Dolly Alderton - giornalista, autrice Tv e scrittrice anglo-canadese classe 1988 - il cui titolo originale, Ghost, richiama appunto i fantasmi che, spesso, giocano un ruolo È fondamentale nella vita di ciascuno di noi. È il caso di Max - un metro e novantacinque, trentasette anni, gambe lunghissime e capelli in disordine - che entra a gamba tesa nella vita di Nina, trentaduenne single afflitta dai primi dubbi sul fascino della singletudine, appunto. Nina ha cominciato a guardarsi intorno e, tra un’amica sposata e con prole e l’altra alla continua ricerca dell’Amore, quello vero, si chiede se non sia arrivato anche per lei il momento di cercare una spalla che possa sostenerla. Quando pensa di averla trovata in Max, ecco che lui si fa di nebbia e, dopo aver bruciato le tappe e promesso un futuro fatto di condivisione e percorsi da battere seguendo lo stesso ritmo, scompare. Poi torna e scompare di nuovo, mandando in frantumi Nina, ogni sua certezza e pure ogni sua aspettativa. La domanda è la stessa di sempre: perché ci si innamora sempre degli stronzi? E, soprattutto, perché si è convinti di innamorarsi a ogni incontro, come se ogni incrocio di sguardi fosse il colpo di fulmine, quello definitivo? È il ritmo malsano della società odierna, quella che va a mille e impone di considerare il proprio orologio biologico come una vera e propria bomba a orologeria, pronta a esploderci in mano da un istante all’altro? La Alderton, attraverso lo sguardo di Nina - costretta ad affrontare non solo il fantasma dell’amore, ma anche quello ben più tragico della memoria, impazzita nella mente del padre, figura delicatamente tratteggiata nel suo costante scollarsi dalla realtà a causa di una delle più temibili malattie degenerative - racconta la centralità delle relazioni, ne analizza la complessità delle dinamiche e offre al lettore il quadro esatto di una società imperfetta, fragile e debole, in cui quel che davvero conta, forse, è “più̀ come percepiamo gli altri e i ricordi che ne conserviamo, rispetto a come sono realmente. Forse più̀ che dire ti amo, dovremmo dire ti immagino”. Una lettura intensa, a tratti delicata e a tratti umoristica, esattamente come la vita, quella vera.