
Goffredo Parise nasce a Vicenza in un giorno di festa, l’8 dicembre, dell’anno 1929. È però quello che si soleva definire un figlio “illegittimo”: la madre, Ida Wanda Bartoli, viene abbandonata dal compagno, pare un medico veneto, prima della nascita di Goffredo, che non ne conoscerà mai l’identità. A sua volta la madre è figlia adottiva di Antonio Marchetti, titolare di una rimessa di biciclette che fallisce proprio nel ’29. Dunque, i primi anni di vita di Goffredo non possono dirsi tra i più spensierati: la situazione economica è precaria, la sua nascita illegittima, in una Vicenza provinciale e un po’ bigotta, spingono mamma e nonni a tenerlo segregato in casa, in un tentativo in buona fede di tutelarlo dalle male lingue.
Parise cresce da bimbo solitario ma con una fervente fantasia, inventa giochi e amici immaginari, osservando gli altri bambini dal balcone. La serenità finalmente sembra trovarsi nel 1937, anno in cui la madre sposa Osvaldo Parise, allora direttore del “Giornale di Vicenza”, che di lì a poco adotta ufficialmente Goffredo, togliendolo dallo status di illegittimità e di vergogna. Nel frattempo il bimbo diventa ragazzo, frequenta prima la scuola, poi il liceo classico a Vicenza, poi ancora l’Università, ma con esiti scarsissimi, arrivando a mollare tutto: è uno studente svogliato, annoiato e poco propenso alla disciplina. Predilige la pittura, la scrittura, la libera espressività e creatività. Sull’onda di questo moto creativo esordisce, nel 1951, con Il ragazzo morto e le comete e nel ’53 con La grande vacanza, accolti positivamente dalla critica. Sono anche gli anni del lavoro presso Garzanti, a Milano, un’esperienza “metropolitana”, a tal punto traumatica e alienante, da portarlo alla stesura de Il padrone (1965), romanzo nettamente differente dalle opere precedenti.
Garzanti gli consente anche la pubblicazione de Il prete bello, nel 1954, un testo legato alla sfera “paesana” e provinciale veneta di origine, il cui successo gli apre le porta del giornalismo affermato: diventa reporter per “Il Corriere della Sera”, trovando finalmente rimedio con il peregrinare alla noia e alla malinconia che gli procuravano le grandi città. Stati Uniti, Cina, Vietnam, Biafra, Cambogia, Cile, Cuba... A cavallo tra gli anni ’50 e ’60, Parise gira il mondo, inviando al “Corriere della Sera” reportage sempre vivaci, partecipati, imparziali, mai banali. Il rovescio della medaglia? Difficile intraprendere relazioni stabili, creare una famiglia, quando si ha quest’indole indomita ed errabonda. L’unico matrimonio di Parise, sposatosi nel 1957, si esaurisce infatti già nel 1963. Goffredo non si sposerà più, intraprenderà solamente un’altra relazione importante, sempre negli anni ’60, con Giosetta Fioroni, che si interromperà comunque, pur rimanendo un profondo legame tra i due fino alla morte di lui.Parise, nel frattempo, da diversi anni ha spostato il suo punto fermo a Roma, sfuggendo al grigiore milanese, ma, di nuovo, la frenesia della grande città gli dà noia, lo soffoca quasi, nonostante i legami importanti di amicizia che vi ha instaurato, e il fervido ambiente letterario e artistico (sarà amico di lunga data di Moravia, Elsa Morante, La Capria, Gadda, frequenta Pasolini, Sandro Penna, Rossellini, Fellini...). E poi, gli manca l’intimità della sua amata provincia veneta, che non ha mai smesso di tornare a trovare, e in cui rivede il calore del focolare, dei legami intimi, della semplicità. In questa aura di ritorno alle origini si iscrivono i Sillabari, composti in un momento di sereno “raccoglimento” nella casa di Salgareda, sul Piave, il suo eden dove si trasferisce stabilmente dal 1970. Goffredo ha vissuto una vita intensa, privandosi del tempo per fermarsi a riflettere, delle piccole gioie, di una famiglia, di cui ora inizia a sentire la mancanza: pesa la solitudine in casa, pesa la malattia che dal 1972 inizia a manifestarsi con sempre maggior intensità, un’arteriopatia diffusa. Nasce dall’esperienza di questo dolore, di questo turbamento profondo, fisico ed emotivo, il romanzo di Parise forse più contrastante e dai toni forti, L’odore del sangue, quasi una forma di esorcismo del male, talmente privato da spingerlo a chiudere tutto in un cassetto e non pubblicarlo (uscirà postumo, nel 1997).
Siamo alle battute finali, Goffredo ne è consapevole: si arrischia in due ultimi viaggi importanti (Giappone e Parigi) ma nel 1984 è costretto a lasciare il suo eden di Salgareda per trasferirsi a Ponte di Piave, più comodo all’ospedale da cui purtroppo entra ed esce con sempre maggior frequenza. Quattro bypass coronarici, ormai costretto alla dialisi, l’autore vicentino trascorre gli ultimi anni di vita in compagnia delle costanti presenze della sua vita, quei pochi e sinceri amici che hanno costituito per lui la famiglia di sangue che non ha mai avuto. Il 31 agosto 1986 Goffredo Parise, ricoverato pochi giorni prima all’Ospedale di Treviso, lascia questa famiglia acquisita e si spegne, dopo aver ricevuto proprio nel febbraio dello stesso anno la laurea ad honorem da quell’Università di Padova che aveva abbandonato in gioventù, inconsapevole del grande lascito che poi avrebbe donato proprio con la sua opera letteraria, sincera e semplice come la piccola provincia, ma con lo slancio e la vitalità del grande mondo.