
1957, Londra. Dennis Cleg vive in una squallida pensione dell’East End gestita da una anziana, acida zitella: la signora Wilkinson. È un caso – ma un malevolo, curioso caso – che abbia lo stesso cognome di quella Hilda Wilkinson, la donna che ha stravolto la vita di Dennis quando era un bambino. L’uomo, che è nato e cresciuto proprio là nell’East End, è da poco tornato dal Canada, dove ha vissuto per molti anni: è “una ragnesca figura vagabonda” (fu sua madre quando era piccolo a soprannominarlo Spider), ha seri problemi mentali e passa le giornate arrotolandosi infinite sigarette seduto su una panchina lungo il fiume, vicino al ponte ferroviario e ai gasometri, i luoghi della sua infanzia. Dennis annota febbrilmente su un quadernetto le sue impressioni, i suoi ricordi. La sua famiglia abitava in Kitchener Street, al numero 27: la madre era una donna molto più raffinata della media dei sobborghi popolari di Londra, leggeva libri ed era sempre molto dolce e riflessiva. Il padre Horace faceva l’idraulico. Era bravo nel suo lavoro, le cose non andavano affatto male per lui: ma beveva forte ed era infelice, un mix letale per un matrimonio. In una delle sue rabbiose serate al pub, dove si rifugiava dopo aver litigato con la moglie, Horace conobbe una donna. Si chiamava Hilda, era una prostituta dalle forme abbondanti, la voce arrochita dal fumo e i riccioli biondi. L’idraulico perse letteralmente la testa per questa femmina chiassosa così diversa dalla sua moglie mite e silenziosa. Spider ricorda le sue impressioni di bambino, inizia a ripercorrere sul suo diario le tappe incalzanti della rovina della sua famiglia…
Il secondo romanzo di Patrick McGrath, datato 1990, conferma quanto di buono e interessante si vedeva nel suo inquietante esordio, Grottesco. Come in parte già allora, anche qui la chiave della narrazione sta nel punto di vista del protagonista, che è però patologico per definizione: e così il lettore – diviso tra empatia e disgusto – avanza a tentoni nel plot non sapendo mai con certezza cosa è vero e cosa frutto della schizofrenia di Dennis Cleg, in un crescendo claustrofobico e morboso. Ci si invischia davvero come nella tela di un enorme ragno nel racconto dello scrittore londinese, figlio di uno psichiatra in servizio presso il famigerato manicomio criminale di Broadmoor. I critici letterari britannici, all’epoca della pubblicazione di Spider, che tra l’altro nel 2002 è diventato un film diretto da David Cronenberg, interpretato da un magnifico Ralph Fiennes e sceneggiato dallo stesso McGrath, si soffermarono molto sullo stile e sul linguaggio “old-fashioned”, che però si conserva solo parzialmente nella traduzione di Alberto Cristofori: ciò che invece senza dubbio rimane è l’atmosfera affascinante (i plumbei, nebbiosi sobborghi di Londra negli anni ’30 e negli anni ’50) e la capacità dell’autore di arricchire un ottimo thriller psicologico con un senso di vivida angoscia, di dolorosa infelicità talmente concreto che pare emanare dalle pagine come un miasma venefico.