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Storia confidenziale dell’editoria italiana

Storia confidenziale dell'editoria italiana

Al centro della storia dell’editoria libraria italiana del Novecento ci sono due uomini. Nati entrambi sul finire del 1889, a distanza di due giorni, e morti a distanza di qualche mese tra 1970 e 1971. Questi due uomini si chiamavano Arnoldo Mondadori e Angelo Rizzoli. Nascono entrambi poverissimi, entrambi figli di un ciabattino e nel caso di Rizzoli di un ciabattino morto, perché purtroppo suo padre si è suicidato per la disperazione prima che il bambino nascesse. I due uomini destinati a fondare l’editoria libraria italiana erano incolti: Mondadori aveva la quinta elementare, Rizzoli la seconda. Tutti e due hanno iniziato a lavorare come garzoni di bottega in una tipografia. Tutti e due hanno respirato l’odore dell’inchiostro, si sono anneriti le mani. Tutti e due ad un certo punto si sono resi conto che “tra il prezzo a cui si può vendere la carta stampata e il costo della carta e della stampa c’è una bella differenza, ossia un possibile e notevole guadagno. Da una parte si può stampare su commissione, fare integralmente i tipografi: e il problema sarà allora quello di trovare un numero di clienti e di commesse sufficienti a saturare le macchine. Oppure, dall’altra parte, si può stampare quel che si vuole, di propria iniziativa: e il problema allora sarà quello di trovare un numero di acquirenti sufficiente per i propri stampati. (Entra così in scena il pubblico, misteriosa divinità). […] L’arte di tenere insieme gli autori, le loro opere e il pubblico si chiama editoria”…

“Ogni casa editrice, piccola o grande, bella o brutta, sta in piedi – quando sta in piedi – su tre cose. L’idea, i soldi e le scoperte”. E la storia di ogni editore italiano del Novecento è dunque una storia di idee, soldi e scoperte. Che Gian Arturo Ferrari – un vero e proprio titano tra “gli editoriali” italiani, come li chiama lui, ovvero gli addetti ai lavori, essendo stato in carriera dapprima giovane redattore alla Boringhieri, poi editor della Saggistica Mondadori nel 1984, direttore dei Libri Rizzoli nel 1986, Direttore dei Libri Mondadori nei primi anni Novanta e poi dal 1997 al 2009 Direttore generale della divisione Libri Mondadori, Presidente del Centro per il libro e la lettura dal 2010 al 2014 e infine vicepresidente di Mondadori Libri dal 2015 al 2018 – ci racconta con passione e indubbia competenza. Perché di moltissime di quelle riunioni, di quelle acquisizioni, di quelle trattative Ferrari è stato protagonista. Lui c’era, era lì mentre le cose accadevano. L’insight fornito da questo memoir professionale (i riferimenti alla vita privata dell’autore sono rarissimi, il tasso di vanità è qui molto inferiore alla media) soprattutto sul mondo editoriale italiano degli anni Ottanta e Novanta, così diverso da quello di oggi, è preziosissimo. Si legge davvero con piacere questa storia più che confidenziale (non c’è nulla di pettegolo nei dietro le quinte di Ferrari) informale, niente affatto paludata, a partire dalla copertina, sulla quale campeggia un bel dipinto di Henry Stacy Marks che prende bonariamente in giro l’attitudine ciarliera dei comitati editoriali. Gian Arturo Ferrari è da sempre considerato la personificazione dell’approccio commerciale e mainstream all’editoria, e questo non lo ha mai reso molto simpatico a una larga fetta del mondo para-letterario schierato al centro-sinistra. Lui ha sempre riso di queste semplificazioni, rivendicando dal punto di vista eminentemente politico la matrice socialista della sua cultura familiare, ma ha anche sempre ribadito – e lo fa anche in questo libro, più volte – che l’editoria a suo parere non è fatta da “puri spiriti per nobilissimo scopi” ma è un’industria, un commercio. E che proprio dal contrasto tra le due forze contrapposte, la visione ideale e la sostenibilità dei fatturati, l’arte e il denaro (Dio e Mammona, come li ama chiamare lui), nascono i tormenti di tanti editori o direttori editoriali degli scorsi decenni. Se ci si interessa di editoria, si lavora nel campo o si sogna di farlo in futuro, la lettura di queste storie “quasi tutte vere” è abbastanza indispensabile e soprattutto piacevole. Libro molto godibile e istruttivo, a patto di non volerlo prendere per un manuale dell’editore perfetto, cosa che non è. E ragionevolmente non vuole neanche essere.