
L’avversione popolare al fascismo, secondo l’autore, non ha inizio con la caduta del potere fascista il 25 luglio né con l’armistizio dell’8 settembre 1943. La reazione alla dittatura da parte di una larga fascia di popolazione italiana progredisce con le operazioni militari che l’Italia intraprende con il supporto dell’esercito nazista, come la riconquista della Cirenaica o l’invasione della Grecia, con quel mostrarsi al servizio dei tedeschi, come nella prima spedizione in URSS o nell’Africa settentrionale. Diventa sempre più chiaro che se anche dovesse arrivare la vittoria sarebbe tedesca con l’Italia ridotta ad appendice del Terzo Reich. Negli ultimi mesi del 1942, dopo la sconfitta di El Alamein e l’ingresso nel Mediterraneo delle forze americane, in Italia dilaga il pessimismo. I gruppi di potere sono determinati ad insistere per la cessazione delle ostilità. Con la sconfitta dei tedeschi a Stalingrado le sorti del secondo conflitto mondiale appaiono segnate. Il 10 luglio 1943 una sterminata flotta alleata – forte di 280 navi da guerra, 2.275 navi da trasporto e 1.800 mezzi da sbarco – invade la Sicilia con centocinquantamila uomini. La guerra, nella quale con colpevole impreparazione il fascismo ha trascinato l’Italia, è ormai irrimediabilmente persa. Al convegno di Feltre del 19 luglio dello stesso anno svanisce anche l’illusione che Mussolini riesca a ottenere da Hitler il consenso per spezzare l’alleanza. Per il re e per i gerarchi fascisti è arrivato il momento di privare di potere il Duce. Alle ore 17 del 24 luglio 1943 si raduna il Gran Consiglio del fascismo, dopo ben quattro anni. Il partito dei dissidenti (Grandi, Ciano e Bottai) domandano il ripristino delle prerogative del sovrano e degli organi statuali soppressi, di fatto, dal regime. Alle due del mattino del successivo 25 luglio l’ordine del giorno Bottai-Grandi-Ciano raccoglie 19 sì, 7 no e un astenuto. Alle 17 di quello stesso giorno Mussolini si reca dal re, convinto di poter ancora perorare la sua causa, ma questi gli annuncia di averlo sostituito con il maresciallo Badoglio e all’uscita da villa Savoia lo fa arrestare da un capitano dei carabinieri. Il 26 luglio l’avvocato Tancredi Galimberti detto “Duccio” di Cuneo fa appello a intraprendere una lotta di resistenza contro i tedeschi proclamando la necessità della guerra immediata alla Germania nazista. Uno dei suoi più stretti collaboratori è Antonino Repaci, nipote dello scrittore Leonida Repaci di Palmi, provincia di Reggio Calabria…
Pino Ippolito Armino, con perizia e metodo storiografico, dopo aver analizzato documenti di archivio, monumenti commemorativi, dati, storie recenti e reperti autobiografici, dopo aver viaggiato in lungo ed in largo per l’Italia, ha ricomposto un puzzle al fine di consegnare alla memoria collettiva i volti ed i nomi dei calabresi che perirono nelle lotte partigiane, all’indomani dello sbarco alleato in Sicilia. L’analisi storica dell’autore è impeccabile così come l’impegno a ricostruire con obiettività le singole vicende che interessarono perlopiù giovani militari che, trovatisi improvvisamente al fronte o in scenari di lotta armata, scelsero di stare dalla parte dell’Italia antifascista piuttosto che allearsi con chi sino ad allora aveva detenuto il potere. La tesi dell’autore, riguardo la lotta partigiana, anche con specifico riferimento agli attivisti meridionali è tesa a privilegiare le scelte ideologiche dei singoli piuttosto che la pura casualità e così le singole vicende vengono descritte anche in ragione del percorso e del contesto in cui i partigiani si trovarono. In Calabria di questi uomini e delle rispettive azioni si sa poco o nulla e così l’opera dell’autore consente anche di ripristinare la memoria identitaria in un territorio che non conobbe la resistenza armata e che passò dalla monarchia alla repubblica in maniera del tutto anodina rispetto ad altre regioni. Il libro è ricchissimo di note bibliografiche, di rimandi, di citazioni, di ricostruzioni desunte da bollettini ufficiali e non manca di riportare i documenti fotografici dei singoli partigiani che l’autore, ha reperito con encomiabile impegno recandosi in taluni casi direttamente dagli eredi, al fine di ricostruire con acribia anche i volti di coloro che sacrificarono la vita per la libertà e la democrazia.