
Dopo aver letto le Voyelles di Arthur Rimbaud, Lucien decide di trasformare le sue aspirazioni poetiche in brevi componimenti di sedici parole, tante quante sono quelle contenute nei due versi e mezzo dedicati alla lettera A. E mentre si esercita nei suoi componimenti artistici affidati a svolazzanti fazzolettini di carta, con l’altra mano crea il suo capolavoro: una piccola mosca ricavata con un filo di metallo. Appena creata, subito persa: è il 22 ottobre 1916, inizia la storia di A., la mosca volante, dall’animo flessibile, ma dalla sorte di metallo. A. è destinata a perdersi e ritrovarsi in taschini di persone diverse, dallo stile di vita sempre differente, ma accomunato da un senso artistico non comune per la vita. Vola di opera in opera, senza sapere come: si risveglia in un quadro, in un taschino, su un comodino, fra le esili mani di un uomo che la raccoglie da terra dopo una scarica di pioggia. Trapassi continui, da un atelier ad un palco, da un tavolino con bicchieri e bottiglie, ad una scrivania sotto una pila di fogli. La mosca è lì, ad osservare e a volte ad ispirare, a consolare e consigliare. Fino a quando il cerchio si chiude, allorché nel 1960 la sua zampina di ferro si ritrova sulla lapide di marmo di Lucien, il suo demiurgo, morto proprio quel 22 ottobre 1916. Il suo viaggio termina lì, dove era iniziato, con chi gliel’aveva fatto iniziare…
Il breve racconto della mosca A., scritto come un divertissement alla maniera, moderna, di Luciano di Samosata (come richiamato dal nome del demiurgo Lucien Huître, unico artista volutamente e poieticamente inventato), ha il pregio di raccogliere e mettere in fila una teoria di scrittori, filosofi, pensatori e artisti vari che hanno attraversato Parigi nel ‘900. Li incontra tutti e di tutti riesce a cogliere un aspetto che la sua curiosità scova e fa emergere con precisione. Non so se nell’intenzione dell’autore, il ferrarese Marco Belli, ci sia questa metafora della mosca come insetto sfrontato che si nutre per prima dei manicaretti o se ci sia l’idea di un insetto che cade e risorge in modo ciclico (ipotesi presentate da Antonio Castronuovo, autore di una breve postfazione). Il risultato è onestamente scarno e asciutto, molto esile nella trama, per questo anche criptico nel messaggio. Mi piace piuttosto considerarlo, appunto, un esercizio di stile, un divertimento che può risultare piacevole a patto che non gli si cerchino ulteriori significati. Ecco, a queste condizioni è un libello gradevole. Il testo è, infine, impreziosito dalle illustrazioni di Camilla Lunghi.