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Storia di Piera

Storia di Piera

Le vite di Dacia e Piera si sono sfiorate molte volte nei teatri, attraverso amicizie comuni, ammirandosi da lontano e vagheggiando una conoscenza più approfondita, fino al giorno in cui hanno deciso di dare concretezza a un progetto teatrale comune, lavorando a un personaggio che Piera potesse interpretare ed iniziano ad incontrarsi e registrare un’intervista intensa e bruciante come solo Piera Degli Esposti sa essere ed offrono al lettore una finestra sull’anima di quelle che a Piera piacciono tanto. Ne viene fuori un ritratto forse troppo intenso per qualsiasi palcoscenico ed il progetto viene accantonato, ma, alcuni anni dopo le ore di conversazioni, sbobinate, prendono forma di libro. Dacia Maraini approccia il personaggio Piera con il più canonico degli incipit, ossia, una lunga, escruciante, eviscerante narrazione del rapporto con la madre, la cui malattia mentale ha deragliato l’intera famiglia lungo i binari contorti e nei tunnel della sua patologia. I lunghi mesi del letargo invernale si alternavano secondo ritmi precisi ai mesi dell’iperattività estiva, della giocosità, dell’ipersensualità aggressiva e sboccata, che, con l’andare del tempo sono divenuti i periodi in cui madre e figlia condividevano i giochi, gli amanti, le piccole seduzioni…

Il rapporto di Piera col padre è un tentativo incessante di piacergli, di superare la mortificazione di essere bionda ed esile piuttosto che mora e giunonica come le donne che piacciono a lui; poi ci sono sua sorella, figlia di una relazione prematrimoniale della madre che ha vissuto l’intera infanzia in un collegio, e, un fratello, figlio del primo matrimonio del padre. Una famiglia “sgangherata”, come la definisce la Maraini, che è riuscita nonostante tutto a mantenere vivo un affetto profondo, che ha travalicato le patologie mentali della madre e, successivamente, del padre, la malattia pleurica che ha afflitto a lungo Piera. Le montagne russe affettive sulle quali Piera ha vissuto l’hanno resa la grande attrice che è, le hanno consentito di “riempire” le signorine di Shakespeare, Joyce, Ibsen, D’Annunzio, di una carnalità e individualità, di “andarle a cercare a casa loro”, guardarle dalla finestra e viverle, non solo interpretarle. La conversazione scorre fluida, senza cesure né marcature temporali, sembra essersi svolta in un’unica, torrenziale seduta, e non piuttosto nell’arco di un paio di mesi, con incontri trisettimanali di due ore e mezza circa ciascuno. L’intervista, costruita o ricostruita dalla Maraini con una linearità lampantemente freudiana, traccia a ritroso dolori, ferite, angosce, dilaniamenti fisici e mentali subiti da Piera, ma, di tanto in tanto l’intervistatrice la connota come un dialogo e nei momenti più intensi lascia trasparire qua e là piccoli scorci di se stessa, di ciò che ha vissuto e che la accomuna a Piera: un padre immenso da conquistare, la sperimentazione di e con se stessa sin da ragazzina, gli aborti, gli uomini di cui si è presa cura come di bambini. Il teatro è una parte cospicua del racconto, sono anni in cui la sperimentazione teatrale è al suo culmine, in cui l’astro di Carmelo Bene splende accecante e i registi sono creativi ed introspettivi, non temono approcci coraggiosi a ruoli tradizionali. La storia di Piera è un testo sovraccarico, e, a rileggerlo oltre trent’anni dopo che è stato scritto, si ha l’impressione di assistere a una eviscerazione emotiva, a una sorta di radiografia impudica dell’anima che era tipica dell’autoanalisi, soprattutto femminile, tra gli anni sessanta e settanta ma ci coglie totalmente alla sprovvista in un’epoca di approcci superficiali e vite vissute allo specchio. Il libro, essendo una sbobinatura, non dice molto sul talento letterario della sua autrice, ma è una testimonianza molto interessante della costruzione di una personalità complessa, una sorta di autobiografia attraverso un’analisi impudica e spietata che Piera Degli Esposti fa di sé e delle sue battaglie e sconfitte.