
Lapo ama disegnare sopra ogni cosa e, trasferitosi in città dal paese d’origine, intraprende colloqui di lavoro sperando di riuscire a trovare un’occupazione nel ramo che davvero gli interessa: inventare storie, mondi e personaggi con la sua matita. Ha già compiuto trent’anni e ancora sogna. Sogna di diventare un grande disegnatore, “uno di quelli che firmano le copertine delle riviste più importanti, uno di quelli che illustrano i libri dei grandi romanzieri, uno di quelli che si inventano i cartoni animati”. Ma le telefonate che riceve sono deludenti. Si tratta in genere di studi professionali, a cui ha inviato il curriculum, che gli comunicano gentilmente di non avere necessità di personale, pur apprezzando i suoi lavori. Oppure si tratta delle ansiose e pressanti telefonate della mamma che gli suggerisce di non stare a incaponirsi col disegno e con l’arte e di accettare qualsiasi altro lavoro gli venga offerto. Lapo dribbla le une e le altre, con eleganza, pazienza e un poco di malinconia. Finché una brutta (o forse una bella) mattina qualcosa succede: il dito mignolo di Lapo si trasforma in matita, una bella matita gialla. E poi tutte le dita di mani e piedi si trasformano in matite, e poi tutto il suo corpo, che diventa “un’unica grande matita appuntita del tipo HB, con attaccate matite più piccole come braccia. Non aveva più gambe e per spostarsi doveva saltellare. Al posto della faccia aveva una grossa punta di grafite che sembrava una cresta”. La situazione è bizzarra, anzi drammatica. Lapo si è trasformato in uomo matita. Ed è sempre senza lavoro…
Lapo è timido, perfezionista, solitario, a volte incerto sul da farsi, ma di una cosa è certo: realizzerà il suo sogno. L’occasione, come sempre accade nei sogni e qualche fortunata volta nella realtà, gli si presenta inaspettata e dopo una totale, stupefacente e anche per qualche verso preoccupante metamorfosi. La sua trasformazione, un poco simile alle favole della mitologia classica e un poco kafkiana, diventa l’esperienza fondante della sua vita e del suo destino. La metafora suggerisce ai giovani lettori di non abbandonare i propri sogni e di essere fedeli alla propria vocazione e ai propri desideri, accettando di percorrere anche strade diverse da quelle immaginate, abbandonandosi ai suggerimenti del caso e alle vie inconsuete tracciate dal destino. Quando Lapo riesce a farsi una ragione della sua trasformazione in matita comincia a seminare scarabocchi dappertutto, ma non solo. Scopre che spesso la realtà ha bisogno di essere ridisegnata e, dato che i suoi disegni piacciono, prende coraggio e migliora la percezione di sé. Storia di una matita nel 2017 è giunto all’undicesima edizione e, grazie allo stile semplice della narrazione e ai capitoli brevi, è stato inserito in una collana per bambini dai sette anni in su. Tuttavia il libro si rivela adatto anche a ragazzini più grandi, agli adolescenti e ai giovani. Credere in quello che si fa e impegnarsi a fondo è un suggerimento che la storia offre a tutti i lettori, perfino agli adulti. In un’intervista di qualche anno fa, apparsa su “ZIP. La rivista letteraria giovane”, Michele D’Ignazio ha sostenuto, rivolgendosi ai suoi lettori: “Se siete bravi e ci sapete fare, prima o poi uscirete dal guscio e troverete un posto e un senso alla vostra vita, nelle piccole cose così come nelle grandi cose”.