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Storie da Città di Solitudine e dal Km 76

Storie da Città di Solitudine e dal Km 76
Arroccato sulla collina del Paese di Fine Viaggio si trova, da dieci secoli, il Cimitero di Solitudine. Da trent’anni un uomo, ormai giunto alla fine dei suoi giorni, ne è il custode. Ha raggiunto ormai un certo rapporto con la solitudine: è tempo di fare un bel giro di valzer con la propria vita. E quel custode, senza sapere né leggere né scrivere, passeggia tra quelle lapidi. Ricche di segreti, ma non per lui. E il custode racconta. E racconta. Racconta di Rosa Fragranza, la fornaia del paese, bellezza dalla pelle dorata e al profumo di pane capace di instillare nella farina la passione. E racconta del violinista. E della libraia che si innamora di Libero, il trapezista del circo. E di Osvaldo Colonna, l’edicolante che sognava l’amore di Rosa e sperava di tornare dai suoi viaggi con l’ape-car ricco e pronto a sposarla. Lo sperava tanto. E racconta di Romilde dal nome di fiaba lasciata con una bestemmia dal suo uomo che le lasciò il mutuo da pagare e il piccolo Matteo. Matteo che, incessantemente piange. E alla fine, racconterà la sua di storia. Forse per liberarsi di un bruciante segreto…
Storie da Città di Solitudine e dal Km 76 è una raccolta di racconti carichi di fascino surreale, ricchi di magia. Idonei a suscitare una miriade di reazioni: stupore, malinconia, amarezza, sorrisi. Di tutto un po’. La voce narrante è il custode del cimitero di una  anomala e quantomeno seducente città: Fine Viaggio, avvolta da una quasi palpabile nebbia di cui sono impregnati tutti i suoi abitanti.  E quel custode claudicante prende per mano il lettore conducendolo in un meandro di malinconiche atmosfere dal forte sapore gotico. In quella cupezza si intrecciano nomi e storie, comuni e meno comuni, tutte intrise di sentimento, di passione, di follia e disperazione. Storie di morte e di morti. Storie di algor mortis, di rigor mortis e di livor mortis. Si può parlare di morte e farne poesia quando le parole scorrono melodicamente e sono usate con abilità straordinaria. Insomma, una sorta di Antologia di Spoon River italiana in prosa, forse più delicata e meno ruvida, ma nella quale si sente la sottile influenza di autori americani, non ultimo Edgar Allan Poe. Emerge chiaramente quel rapporto strettamente confidenziale tra l’autore e le parole che può, con nonchalance, permettersi di far uso di metafore e giochi lessicali distribuendoli con cura nella trama, riuscendo a creare un effetto insolitamente musicale. Parole come note su un pentagramma fatto di nomi evocativi e di storie che incantano.  Ogni storia si collega inevitabilmente alla precedente e alla successiva in una catena che non può spezzarsi. Si ha quasi il bisogno di andare avanti. Anche quando si è arrivati all’ultima pagina. Un raccolta che può essere letta come un romanzo, da assaporare lentamente come un ottimo vino, magari accompagnata dalle note di un buon brano gothic metal.

Leggi l'intervista a Giovanni Sicuranza