
Piacenza. Il 19 aprile del 1966 muore Giuseppino, appena dopo il parto, lasciando i genitori in uno stato di dolore silenzioso e confusione: al negozio si riprenderanno i mobili della cameretta? Dovranno riverniciare i muri che avevano colorato di azzurro? E poi c’è sempre il problema dei soldi, e il pensiero non li abbandona mai. Nonostante siano poveri, non lo sembrano all’apparenza: la madre è sempre curatissima e il padre ben vestito. Al funerale di Giuseppino va solo il padre, perché la madre è stata trattenuta nella clinica. E piange, ma d’altra parte lui piange sempre. Si commuove perfino quando pensa al disastro aereo di Superga e mentalmente recita i nomi della formazione del Grande Torino. Il giorno dopo il funerale il padre è invitato a casa dei suoceri, che, seppur abitino nel civico accanto, non hanno l’abitudine di invitarli spesso. Viviana e Oreste, così si chiamano, sono molto benestanti, ma sono anche stati sempre distaccati da lui e dalla loro figlia, anaffettivi. Dopo essersi seduti - lui sul divano marrone, i due sulle poltrone di fronte - tirano fuori il quadernetto sul quale annotano tutti i prestiti che gli hanno fatto ed è lì che capisce: lo hanno convocato per chiedergli di saldare il conto. Tra cure mediche in ospedale e funerale non sa come fare, ma il pensiero di mantenere la sua dignità integra davanti a loro, lo spingerà a risarcire il più presto possibile quel debito. Un anno dopo arriva Sara a donare di nuovo calore alla famiglia e sette anni dopo un’altra bambina, nata ad aprile, come Giuseppino. La nonna Viviana, però, non accenna a cedere un centimetro sulla linea di sterilità affettiva che ha tracciato e ogni favore è un debito che costa lacrime e sudore alla famiglia di sua figlia. Così la nipote più piccola pensa che è l’ora di fare qualcosa, perché non è giusto continuare a vivere con una strega che comanda i colori delle loro esistenze...
Già autrice radiofonica e scrittrice di podcast insieme alla collega Michela Murgia, con la quale ha pubblicato due libri, Chiara Tagliaferri approda alla narrativa con un romanzo sui legami familiari, sul passato e sulle maledizioni, ma anche sulla possibilità di riscattarsi da una vita che sembra già scritta nel patrimonio genetico. A Piacenza c’è una nonna che esercita il suo potere su tutta la famiglia tramite i soldi. Sua figlia è una madre che resta sola troppo presto, con due figlie che sanno bene cosa è la privazione e il peso che questo ha nella loro vita. Ma per la più piccola delle sorelle quella vita provinciale non può andare bene, soprattutto per l’oscuro segreto che nasconde. Quindi decide che Roma è la città perfetta in cui consumare la sua maledizione: lì c’è tanta bellezza e forse può essere salvifica per lei. Ma più di tutto lei vuole quello che la sua famiglia poco abbiente non le ha potuto dare, in un moto di accumulo compulsivo di cose belle e costose, perché per lei il riscatto passa dalla giacca di Prada che non ha mai potuto avere. L’emancipazione vera passa dall’esibizione di ciò che può permettersi: se nella sua famiglia c’è sempre stato quell’atteggiamento per il quale appena si aveva una cosa di valore la si metteva via “per le occasioni importanti”, finendo in cassetti poi dimenticati, la protagonista non vuole più privarsi di poter sfoggiare abiti firmati e costosissimi. È così che avviene la liberazione vera: lei non è più soggiogata da sua nonna, lei è libera, lei ha il potere di essere una strega e quindi ricerca uomini ricchi che possano garantirle la vita regale che ha sempre desiderato. Con Strega comanda colore Chiara Tagliaferri ci regala una saga familiare davvero sui generis, mescolando eventi del suo passato a fatti di pura invenzione, e restituendoci una storia lacerante di riscatto ed emancipazione.