
Esiste, oggi, anche una linguistica del discorso, ossia applicata non solo a una parola o a una frase, ma a un intero testo. Il primo criterio da considerare, in tal senso, è quello di determinazione delle singole unità testuali: esso consiste nel far variare una forma (un’unità) per verificare se essa determini o meno anche un mutamento di senso. Se ciò avviene, tale unità sarà indicata come significante, in caso contrario si dovrà allargare la sequenza considerata. Le unità, infatti, possono essere necessarie (nuclei) o riempitive (espansioni). Un testo narrativo è dato, quindi, dall’equilibrio di questi due elementi. Ogni sequenza testuale, spesso, è inscatolata nell’altra, ossia inizia anche se l’altra non è ancora finita. Tra i livelli narrativi, infine, oltre a quello delle funzioni e della narrazione, risulta determinante l’attanziale, che considera i personaggi come soli attanti, ossia come partecipatori di determinate azioni: il soggetto che desidera e ricerca qualcosa o qualcuno, l’oggetto desiderato (anche una persona), il donatore e il destinate del dono e, infine, gli adiuvanti e gli opponenti…
Roland Barthes (1915-1980), famosissimo saggista, critico e semiologo – tra i maggiori esponenti dello strutturalismo francese, tra le sue opere ricordiamo: Il grado zero della scrittura e Frammenti di un discorso amoroso –, in un’inedita intervista del 1965 con Paolo Fabbri, riflette sulle impalcature che reggono il testo, smontandole e individuandone i cardini. Con una serie di esempi, che rendono ancor più piacevole e agevole la lettura del libriccino che racchiude tale conversazione, Barthes ci guida per mano nel magico mondo del raccontare, svelandocene gli elementi, i “trucchetti” che rendono incantevoli i testi. Le interconnessioni testuali sono la vera chiave di lettura e di interpretazione narrativa. I legami abissali, gli abbracci invisibili tra porzioni di testo che s’aggrovigliano nel sottosuolo del racconto, come radici. Scioglierli, ripercorrerli è la grande ambizione di questo tipo di critica, per poter finalmente respirare l’aria buona della letteratura d’una certa quota.