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Svanire

Svanire

Nathan è scomparso. Per Tabitha, figlia di quello scrittore che lasciava entrare solo lei nella soffitta in cui si chiudeva a scrivere, è un trauma lento da digerire, che influenzerà tutta la sua vita. “C’era un foglio bianco di carta inserito nella macchina da scrivere, tanto bianco da brillare alla luce della lampada. Lui stava guardando fisso fuori dalla finestra, senza neanche accennare a schiacciare i tasti”… Edith porta a casa Rae, una ragazza più grande, e la presenta al padre vedovo come la sua nuova compagna di giochi. Giovane e indomabile, Rae piomberà a trovarlo nel cuore della notte ogni volta che vorrà, salvo poi sparire anche lei, un passaggio che non sarà dimenticato… Un uomo perde la moglie e ritrova lo stimolo a vivere perdendolo, toccando il fondo e mettendosi a giocare al casinò, dove conosce una croupier che in passato faceva la maga, tra un trucco e l’altro si crea l’intesa ed è la scomparsa dell’amore a far risalire il vedovo…

Mai banali, i racconti di Svanire (il titolo del libro riprende quello del primo racconto) sono cesellati con sapienza e fatti invecchiare come il vino da un’autrice la cui giovinezza stupisce di fronte alla sua capacità di creare universi vividi, descritti con perizia e con un periodare attento al ritmo. Magistrale nell’alternare stili diversi affidando la narrazione ora all’uno, ora all’altro personaggio, la scrittrice canadese cattura il lettore, che legge la raccolta come fosse un romanzo unico, quasi senza interrompersi tra un episodio e l’altro, se non per la dovuta riflessione, senza tuttavia appoggiare il libro, da riprendere subito. Uno dei più grandi risultati che uno scrittore può ottenere è quello di diventare asessuato. Il mio gusto personale predilige gli autori di sesso maschile, mentre quando l’autore è una donna di solito anche l’umorismo è, almeno in parte, al femminile, e il punto di vista è riconoscibile. Francamente non mi fanno ridere le battute sulle calze che si sfilano e nemmeno quelle sui mutamenti del tempo in rapporto all’acconciatura. Sbronze sì, unghie rotte no. Le lacrime maschili mi commuovono e mi impressionano, quelle femminili le trovo patetiche e irritanti. Chiusa questa parentesi voglio dire che la Willis è matura nella sua crescita letteraria, fino a questo punto. Dal primo all’ultimo i suoi racconti sono vergati da una penna di cui non saprei identificare il genere, se solo non fosse noto il nome dell’autore. A costo di passare per maschilista, dirò che questa ragazza è brava come un buon scrittore maschio e non posso trattenermi dallo specificarlo per evitare che questo libro cada (solo) in mani femminili in cerca di racconti “in rosa” nei quali riconoscersi, sentirsi comprese e meno sole. Questo è un libro per tutti quanti amano i bei racconti, una raccolta che ha richiesto circa sette anni di lavoro: sette anni sì, molto tempo ma non troppo: quello giusto per debuttare con un libro non da esordiente ma da scrittrice matura, già meritevole di essere tradotta in altri paesi e, a mio avviso, costretta a proseguire con l’attività letteraria per tenere alta la qualità dei racconti che il continente americano fornisce in modo straordinariamente prolifico. Niente, davvero niente da invidiare ai grandi del passato. Oltre allo stile c’è il contenuto e pare che solo a metà del lavoro l’autrice abbia scoperto, su segnalazione altrui, di aver scritto tutte storie legate dal tema della scomparsa. Non una scelta, sostiene l’autrice, che avrebbe “pilotato” la sua scrittura solo negli ultimi racconti, ottenendo per caso, o meglio inconsapevolmente, un insieme di storie che descrivono una fase particolare delle separazioni tra persone, ossia il momento in cui la persona se ne sta andando. Attenzione, si parla di sparizione, non di morte. Ci sono coppie che si lasciano, amanti che si dileguano, malattie che sfiniscono ma, soprattutto, persone che se ne vanno e basta. Ci sono anche dei ritorni, come nella storia del “triangolo” tra Lise e la sua coppia di coinquilini Karen e Lawrence, un trio che vive quasi in simbiosi finché Karen non se ne va, lasciando il fidanzato senza una parola, solo con i suoi vestiti e Lise, che si disfa del suo aspetto scialbo appropriandosi dell’identità dell’amica o perlomeno dei suoi indumenti e, senza forzature, del suo ragazzo. Quando Karen farà ritorno a casa, sarà naturale unirsi in uno dei loro soliti abbracci collettivi, “è tutto ok”, sapere e non sapere, andare avanti. L’editore Del Vecchio rende giustizia con la collana Formebrevi al racconto breve, forma che in Italia fatica a restare a galla, scegliendo un’opera di alto livello che ci porta nell’America di qualche anno fa e si lascia leggere con facilità, ma impegnando del tutto la mente. Piccoli quadri, brevi ma lunghi abbastanza da appassionare e coinvolgere, che non potrebbero essere più lunghi, storie che svaniscono insieme ai loro personaggi.

LEGGI L’INTERVISTA A DEBORAH WILLIS