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Tenebre su Kreuzberg

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La ragazza ha trascorso la giornata girando per agenzie, cercando contatti ed evitando di farsi rimorchiare; è arrivata da poco a Berlino, ha recitato ruoli marginali in serie minori, e sa come questo suoni eccitante per la maggior parte degli uomini. Nonostante il buio, ha deciso di attraversare il parco per risparmiare tempo. Troppo tardi si è accorta di essere seguita. Il tentativo di fuga si è concluso rapidamente con le dita dello sconosciuto serrate attorno alla gola… Il commissario Bergen è stato chiamato a Görlitzer Park nella gelida mattina berlinese per l’ennesimo lavoro sporco, uno dei tanti per cui ha perso la moglie, ed è diventato “grasso, frustrato e incapace di avere relazioni”. Il corpo rinvenuto appartiene a una donna sulla trentina, “di corporatura media, capelli biondo cenere, voluttuosa […] né brutta, né bella”. Presenta “segni di strangolamento. Labbra ferite da morsi. Lesioni alla lingua. Ferite superficiali alla nuca”. È la terza donna in tre anni a finire ammazzata in quel posto. E Bergen, che ha seri problemi con l’alcol e non è riuscito a risolvere nessuno degli ultimi casi che gli sono stati affidati, sa di non poter commettere errori. A complicargli la vita, ci si è messo anche quel sociopatico di suo figlio Nick: disoccupato, passa ore immerso in violentissimi videogame “sparatutto”, si dedica a tempo perso alla fotografia, ha un problema enorme di gestione della rabbia. È appena uscito da un ricovero per tentato suicidio. E, soprattutto - confessa al padre -, ha in testa idee piuttosto confuse, ma teme di esser stato lui, ad ammazzare quella ragazza…

“Le opzioni erano varie: viaggiare, sollevare pesi, alterare le percezioni con la droga, confessare, sparare, mentire, uccidere o commettere altri crimini. A volte invece non c’era niente che si potesse fare. […] Solo aspettare nella speranza di scordarsi di tutto. Ma l’amnesia non significava per forza insensibilità d’animo e la disperazione non aveva bisogno del ricordo delle ragioni che l’avevano causata. A volte l’anima cancellava tutto, tranne la propria agonia. Le tenebre non erano sinonimo d’insensibilità e l’apatia non era sinonimo di indifferenza. Erano gabbie del proprio destino, peggio di qualsiasi prigione”. Miron Zownir, classe 1953, tedesco nativo di Karlsruhe, è regista teatrale, autore di film brevi, documentari e clip musicali, ma soprattutto “Poeta della fotografia radicale del Novecento”, secondo l’acuta definizione coniata dallo scrittore Terry Southern. Come negli scatti che lo hanno reso celebre, in Tenebre su Kreuzberg (in originale Umnachtung) l’autore restituisce una città dalle periferie degradate, e rende protagonisti della sua storia sbandati, reietti, sociopatici: esseri umani sconfitti o che gravitano attorno al fallimento esistenziale, anime scolpite dagli abusi subiti o inferti, dai disturbi mentali, che cercano di mitigare - con l’alcol, con il sesso, con le droghe, o la violenza -, un dolore troppo profondo per essere definito, in precario equilibrio tra disperazione, rassegnazione e spirito di sopravvivenza. La trama - e la sorprendente conclusione -, finiscono con il rappresentare il contorno di un ritratto realistico in cui l’elemento grottesco risulta solo una delle possibili, inevitabili declinazioni dell’esistenza umana. Lo stile diretto, secco, senza fronzoli, riporta alla mente alcune pagine dei noir di James Ellroy, accanto ai quali questo romanzo troverà naturale collocazione.