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Teoria della classe disagiata

Teoria della classe disagiata

Una sera il duca Jean Des Esseintes, protagonista del capolavoro di Huysmans Controcorrente, porta in un bordello un giovane di umili origini, Auguste Langlois. Il movente del duca è la costruzione di un perfetto assassino: il nobile fa infatti odorare al giovane come sarebbe stato bello vivere sempre al di sopra delle sue possibilità. Una volta che quest’ultimo si renderà contro che il bordello è difficilmente raggiungibile con i suoi pochi mezzi, dedicherà la sua vita al solo scopo di tornarci, utilizzando qualsiasi espediente, incluso – perché no – l’omicidio. La morale della storia è che “per rendere infelice un uomo è sufficiente abituarlo a uno stile di vita che non può permettersi”. In questo senso la generazione di smart workers della conoscenza che ogni giorno riempie la rete di articoli e di post, che scrive pagine di codice per siti web o che gestisce database di milioni di record per indirizzare il consumatore al miglior acquisto, assomiglia molto ad Auguste Langlois. Istruiti, consci di cosa sia un tenore di vita elevato, essi non sono (mai stati) disponibili a svolgere mansioni che declassano la mole di conoscenze acquisite a caro prezzo (lauree, master, dottorati, specializzazioni, etc.) e paradossalmente il più delle volte aspettano di entrare in un mercato del lavoro che giorno dopo giorno si va saturando sempre di più. La loro condizione è strutturale e fa parte di un sistema in crisi, che prima o poi probabilmente esploderà come è già accaduto in un passato non così remoto…

Il saggio d’esordio di Raffaele Alberto Ventura, nato prima su internet in modo carbonaro, discusso in vari dibattiti accademici e non, infine riadattato per la più prestigiosa long form cartacea, fotografa con maestria la condizione di una generazione di precari della conoscenza che vive da anni in un eterno stallo: troppo istruiti per (voler/poter?) svolgere lavori di bassa manovalanza, ma comunque bloccati da un mercato che in fondo non ha poi così tanto bisogno di loro. L’analisi sta a cavallo fra sociologia, filosofia, economia e critica letteraria, e ricorda in parte l’estetica comparativa di Todorov. Nell’accostare sapientemente materiali, epoche e campi apparentemente slegati l’uno dall’altro (“leggendo l’economia come se fosse letteratura” e viceversa), l’autore utilizza uno stile preciso e fluido, che non stanca. Pur essendo tecnico (si va per esempio da Veblen, da cui è stato felicemente ereditato il titolo con una significativa variazione, a Marx, da Nietzsche, a Schumpeter) non diventa mai troppo specialistico e lascia comunque intatto il piacere della lettura. Che fine faranno tutti questi cervelli? La sovrabbondanza di conoscenza e di manodopera a costo zero (o addirittura negativo: pagare per lavorare non è fantascienza) dove potranno essere impiegate? E poi di chi è la “colpa”: del lavoratore poco avveduto o delle “istituzioni laiche che continuiamo a venerare: scuola, università, industria culturale e il social web”? Uno dei saggi più interessanti degli ultimi tempi, conia un caustico ritratto di una generazione/classe, che da “X” invecchia male e diventa sempre più “disagiata”.