
L’uomo che incontra per la prima volta un soldato dell’Armata rossa sovietica nel nebbioso e innevato cortile del Municipio del proprio villaggio ungherese è uno scrittore appartenente al ceto borghese. Cresciuto in un ambiente e in un’epoca in cui il comunismo veniva menzionato subito dopo i sette peccati capitali, non può fare a meno di provare nei suoi confronti un senso di angoscia. E non solo per via dei retaggi e dei pregiudizi passati. Certo i Russi, versando a Stalingrado un pesante tributo di sangue, hanno mutato l’andamento della storia mondiale in maniera decisiva e ora si accingono a liberare anche il suo Paese dall’occupazione nazista. Ma in lui predomina il nefasto presentimento che quel militare, come i suoi compagni, non potrà portare la libertà, perché nemmeno il suo popolo ne beneficia. In principio i soldati sovietici e soprattutto gli ufficiali si mostrano comprensivi e riguardosi nei confronti della popolazione e a lui riservano lo stesso trattamento di rispetto e ammirazione che in Russia viene nutrito per gli scrittori. Ma di lì a poco essi prendono a derubare le famiglie di ogni loro bene, a saccheggiare le cantine ancora provviste di vino e di cibo, a manifestarsi imprevedibili e sospettosi, dotati di un istinto primordiale e di una beffarda furbizia che impiegano sempre più spesso per ingannare deliberatamente persone che avvertono ormai come nemici…
Concepito in forma di memoriale a distanza di oltre venti anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, Terra, Terra!... ripercorre le vicende di Sándor Márai e dell’Ungheria degli anni tra il 1945 e il 1947. La memoria ha il sapore di un sommesso compianto rivolto alla propria patria, fatta oggetto, in quel momento, di prevaricanti vessazioni da parte delle occupanti truppe sovietiche e dalla conseguente instaurazione di un regime totalitario che stravolge l’identità storica e culturale della nazione, della vita pubblica e privata dei suoi abitanti. L’intero fardello di tale rappresentazione finisce per gravare sul punto di osservazione dell’io narrante. È il suo sguardo a cogliere la realtà che incombe inquietante nelle sue manifestazioni, mentre il Paese sembra trasformarsi in una realtà enigmatica e sfuggente, in un’inquietante richiesta di comprensione. La narrazione che ne consegue, pur dilatata da intense digressioni memoriali, conserva una mirabile tenuta che seduce in virtù di una scrittura che conferisce armonia ai contenuti. Senza sfoggio di tecnicismi, la prosa del grande romanziere ungherese si rivela capace ‒ nei rintocchi più drammatici della storia ‒ di fermare sulla pagina immagini, persone e riflessioni con elegante e virtuosa naturalezza, di consegnarci una delle prove più alte della letteratura del XX secolo.