
Ogni anno, quando l’intera famiglia Moone si riunisce sull’isola di Inis Óg per trasformare il cottage in qualcosa che sembra tanto la grotta di Babbo Natale, tutte le ghirlande che i quattro figli di Murtagh e Maeve hanno costruito negli anni vengono scartate con cura dalla velina bianca sgualcita che le protegge nelle altre quarantotto settimane dell’anno prima di essere appese all’albero. D’altra parte, sotto la guida di Maeve, regina incontrastata delle celebrazioni natalizie, nessuno dei ragazzi osa mettere in discussione le tradizioni, che si ripetono uguali anno dopo anno. Il giorno della vigilia, Murtagh si sveglia per l’ennesima volta nel letto vuoto e nota che le lenzuola, dalla parte della moglie, sono ben distese e fredde. Di nuovo Maeve non si è coricata nel suo letto. Sarà probabilmente seduta in cucina, avvolta nel suo solito scialle, mentre pallida e magra osserva l’oscurità che precede l’alba, persa nel suo mondo. Appena scorgerà il marito, impiegherà un attimo a metterlo a fuoco, poi tornerà presente a se stessa e i fantasmi che da sempre la tormentano si dilegueranno, come accade di solito quando Murtagh le è accanto. Ma Maeve non è in cucina e non è neppure sul gradino di pietra della porta sul retro; non sonnecchia sdraiata sul divano del salotto e il suo cappotto non si trova appeso al solito posto. Deve essere uscita. Murtagh apre la porta di casa e, incurante della pioggia, esce e si sporge oltre il cancello di ferro battuto alla fine del vialetto, cercando la moglie nell’alone distante di un lampione. Ma non c’è traccia della donna. Più tardi, quando tutti e quattro i ragazzi sono svegli e hanno fatto colazione, Maeve non ha ancora fatto ritorno. Le ricerche proseguono per l’intera giornata, ma senza risultati. Anche buona parte degli isolani, a gruppi di due o tre, partecipa alla ricerca della donna, ma nulla. Poi qualcuno nota un currach incagliato tra le rocce della scogliera occidentale. Forse è il caso che Murtagh vada a controllare, per escludere che si tratti del suo…
Il racconto di trentasette anni di vita di una coppia che si è scelta, in un giorno qualunque degli anni Settanta dello scorso secolo nel cortile di un college inglese, e ha camminato insieme tra difficoltà e gioie. La storia di un uomo e una donna che hanno creduto fortemente nel sentimento che li ha uniti, hanno costruito una famiglia solida e hanno deciso di trasferirsi in un luogo piuttosto isolato, convinti che il loro amore fosse sufficiente per rischiarare i momenti bui con i quali inevitabilmente ci si scontra nell’arco di un’intera esistenza. Il romanzo di Helen Cullen - irlandese di nascita ma da tempo residente a Londra; parte integrante, a partire dal 2015, del team marketing di Google UK e alla sua seconda esperienza come scrittrice - è la storia di una famiglia coraggiosa, formata da Maeve e Murtagh che, insieme ai loro quattro figli, affrontano il cammino della vita insieme, spronandosi a vicenda e cercando di essere l’uno il sostegno necessario dell’altro. Ma la vita, si sa, ama confondere le carte e non regala solo gioie e soddisfazioni. No. Maeve e Murtagh si scontrano ripetutamente con le difficoltà, la depressione, la malattia, i silenzi. Ma non crollano. Anche quando una tragedia si abbatte sulla loro famiglia, chi resta cerca di non soccombere, di comprendere le motivazioni di un gesto tanto drammatico da lasciare annichiliti, di rimettere insieme i cocci di un’esistenza altrimenti compromessa, di leccarsi le ferite e di ricominciare. Solo così, infatti, sarà possibile scoprire l’amore profondo e vero che si nasconde dietro certe scelte estreme ed apparentemente incomprensibili. Solo così si potrà fare pace con il passato e con i propri demoni e si potrà ricominciare, illuminati da quella luce lasciata sempre accesa da chi ha scelto di porre la felicità dell’altro al primo posto nella propria scala dei valori. Con uno stile semplice ma piacevole, La Cullen propone al lettore una storia intensa che, pur nella sua linearità, offre interessanti spunti di riflessione e stupisce soprattutto per il finale, assolutamente inatteso.