Salta al contenuto principale

Tieniti forte

Tieniti forte

Pensa ogni giorno a suo padre e a sua madre. E non si tratta di un modo di dire. È davvero così. Prima pensava loro solo ogni tanto e il suo pensiero era ben diverso da quello che lo nutre ora. Forse li guarda da una nuova prospettiva, una di cui prima non disponeva o che magari non utilizzava. Ha imparato a perdonarli, per tutte le difficoltà che inevitabilmente i genitori creano con la loro esistenza. Allo stesso modo, non passa giorno in cui lui non pensi ai suoi figli e non senta la loro mancanza... Sul treno regionale che da Magenta lo conduce a Torino, finalmente si libera un posto. Mentre cerca di sedersi, con il suo zaino tra le braccia, si accorge che il ragazzo seduto di fronte a lui è identico a suo figlio. Quella somiglianza lo scuote e, anche se capisce che dovrebbe distogliere lo sguardo, non riesce a non tenere i suoi occhi agganciati a quello sguardo profondo e dolce; non riesce a non guardare quelle spalle larghe e quel capo che si muove piano mentre ascolta la musica attraverso gli auricolari che gli solcano la barba nera e folta... Diciassette luglio 1994. Domenica mattina. È stato improvvisato uno schermo gigante su cui, tra poco, verrà proiettata la finale dei mondiali di calcio. Lo chiamano e gli dicono che deve recarsi in ospedale: è morto un ragazzino, ricoverato lì da tempo in pessime condizioni. La sua famiglia, dopo aver saputo che la malattia del ragazzo è l’Aids, ha deciso che, per loro, lui non esiste più. Ora che è morto, però, dall’ospedale bisogna portarlo via per forza. E dove portarlo di domenica mattina, quando il mondo è fermo? E se è il giorno della finale dei mondiali di calcio, poi, non conviene davvero morire... Cammina sul lungomare, a pochi metri dall’acqua, e cerca di trattenere insieme l’odore della salsedine e le sfumature dei colori del mare. All’improvviso da un balcone arriva la voce di una giovane madre che chiede gridando al figlio cosa desideri per merenda. La scelta è tra tre tipi di pastine industriali. Il figlio ne vuole due. La madre insiste per una sola. Lui alza la testa e li vede entrambi, a un metro di distanza uno dall’altro. Se sussurrassero, si capirebbero comunque...

I brani della raccolta di Felice Di Lernia - antropologo che si occupa, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, di nuclei familiari e scritture autobiografiche - sono un vero e proprio girotondo intorno alla famiglia. Una quarantina di scritti - pagine di diario, lettere, trascrizioni di sogni, racconti in presa diretta - che, partendo dalla vita privata dell’autore e quindi da un mondo piuttosto circoscritto, si allargano fino a inglobare il sentire di chiunque legga queste pagine. E si tratta di parole nelle quali ritrovarsi e poi perdersi, per finire poi per ritrovarsi una volta ancora, con una maggior consapevolezza e mille nuovi interrogativi insieme. Ogni brano, ogni frammento di vita raccontata, analizzata e fotografata, spinge il lettore a una profonda riflessione sulla propria esistenza e sul proprio sentire. Non vengono offerte risposte; non si tratta di regalare psicologia spicciola o di psicanalizzare comportamenti o abitudini. Quel che traspare dalle pagine del volume è il desiderio di guardarsi dentro e raccontarsi, utilizzando un registro che non disdegna quella sottile vena di ironia che smussa le spigolosità e rende la lettura molto fruibile. Essere genitori, essere figli, essere entrambi: le inquietudini che ciascuno dei ruoli inevitabilmente impone vengono mostrate, studiate e accettate; ogni relazione viene presentata nelle sue diverse sfaccettature, al fine di condurre non tanto alla piena accettazione o conoscenza del proprio io più profondo, ma alla consapevolezza che ciascun rapporto interpersonale diventa esso stesso un viaggio, entusiasmante e ricco di esperienze. Una lettura profonda ma scorrevole; pagine intrise di gioia e angoscia, di ombre e luci, di sentieri in discesa e impervie salite. Un testo breve che tuttavia lascia il segno e rivela quanto i legami familiari possano essere estremamente complessi e, allo stesso tempo, meravigliosi. La foto è di Luigi Russo.