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Titanio

Titanio

Fran ha tredici anni, ma nessuno gli darebbe quell’età. Il taglio orientale e sottile degli occhi gli conferisce un’espressione più matura e piuttosto femminea. Alan, l’educatore che sta parlando con lui, l’ha conosciuto dopo la sentenza ed è affascinato da quel ragazzino che si mostra più intelligente di qualsiasi altro giovane del carcere. L’educatore dovrebbe fare visita a Fran un giorno al mese, ma ciò non è possibile, vista la situazione in cui si trova. Durante gli incontri Alan scrive, perché è convinto che vedere una persona impegnata a riportare su un foglio le proprie parole possa servire da stimolo all’interlocutore, che in questo modo potrebbe aprirsi di più. Ma Fran afferma di non voler essere aiutato, perché secondo lui solo chi sta male può essere guarito. E lui non è mai stato meglio in vita sua. La sua unica colpa, sostiene, è stata quella di aver commesso un grosso errore e di essersene accorto troppo tardi. Intanto, in una stanza che non ha nulla di familiare e che non riconosce, un uomo si sveglia. È in un posto sconosciuto, sta sdraiato su un letto sconosciuto e abita un corpo sconosciuto. Apre gli occhi e una luce fastidiosa lo acceca. Le pupille si contraggono e si dilatano; poi pian piano l’uomo riesce a capire che non è il sole quello che pare cadergli addosso. Si tratta di un neon, lungo almeno un paio di metri. Vorrebbe dire qualcosa l’uomo; magari potrebbe gridare, chiedere aiuto, chiamare qualcuno. Ma la bocca si apre e chiude senza emettere suoni; sente dolore in ogni punto del corpo e l’unica cosa che riesce a fare è inghiottire aria fredda, che passa lungo la gola e non sa di nulla. Una sagoma dal passo regolare e lento si avvicina. Porta i capelli lunghi e una mascherina chirurgica. Gli dice di non fare sforzi e di chiudere la bocca, perché l’aria in genere è piena di germi e i germi portano infezioni. Ed è bene che le infezioni stiano lontane da lui, che ha ustioni di quarto grado su tutto il corpo ed è un vero miracolo il fatto che sia sopravvissuto a quel tipo di incidente. Incidente? Lui non ha memoria di alcun incidente. E che cos’è il luogo in cui si trova? La donna sembra un’infermiera, ma quel posto non sembra un ospedale...

Un po’ romanzo psicologico, un po’ romanzo di formazione e un po’ noir, il libro di Stefano Bonazzi – grafico pubblicitario ferrarese dalla penna tagliente e affilata – è duro, spietato, potente. Avviluppa il lettore fin dalle prime righe in una specie di gorgo e lo spinge giù, nel cuore melmoso di una vicenda molto forte, che racconta senza schermi il degrado, la violenza, la vendetta. “Il dolore non può uccidere. Ti può far vivere la vita peggiore. Ti può far desiderare di finirla. Ma non si muore di male fisico. È il vuoto che abbiamo dentro che c’ammazza”. Quanta amarezza in queste parole, quanta verità in un’affermazione che è, insieme, rassegnazione e richiesta d’aiuto. Attraverso una trama che si muove su due piani narrativi diversi e apparentemente scollegati – un misterioso giovane che racconta le ragioni per cui è finito in carcere da un lato e la strana vicenda di un uomo che si ritrova paralizzato e coperto di ustioni sul letto di una stanza sconosciuta dall’altro – Bonazzi ha saputo dar vita a una storia in cui si intrecciano la consapevolezza della paura e la duttilità dell’essere umano, la sua capacità di adattarsi a ogni circostanza, esattamente come accade al titanio, il metallo che dà il titolo all’intera vicenda. Situazioni crude ambientate in scenari squallidi, degradati, sporchi; realtà in cui a dominare sono disperazione e olezzo: quello dell’umidità e della muffa, che infestano e deturpano ogni spazio. Scappare potrebbe essere l’unica forma di salvezza – perché tutto ciò che dovrebbe proteggere conduce invece alla distruzione – ma il rischio è quello di finire inglobato dal torbido dal quale si sta tentando di fuggire. Una lettura davvero intensa e durissima, in cui ogni parola ha il proprio peso e colpisce come uno schiaffo in pieno volto; una struttura narrativa studiata nel dettaglio e impreziosita dalla presenza di sequenze dialogiche ottimamente costruite.