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Titolo: K19 - La storia segreta del sottomarino sovietico

Titolo: K19 - La storia segreta del sottomarino sovietico

Nikolaj Zateev non ha mai lavorato nel Mar del Nord. Ma che i capi della marina spesso seguano percorsi tortuosi nella nomina dei comandanti è cosa nota. Non si stupisce affatto, quindi, quando gli viene affidato il comando di un sottomarino nucleare ancora in fase di sperimentazione, il K-19. Non è facile lavorare su un sottomarino, i rischi a cui ci si espone sono evidenti. Ma ancor meno rassicurante è lavorare su un sottomarino carico di armi nucleari, dove i rischi potenzialmente nocivi aumentano in maniera esponenziale. Il comandante Zateev, però, è un soldato e quindi obbedisce senza indugio. Anzi, prova anche un certo orgoglio che i generali a Mosca abbiano scelto proprio lui per quella missione. Prima di prendere veramente il largo, però, tante sono le fasi intermedie e di preparazione in cui Zateev può far conoscenza e affezionarsi ai suoi sottoposti. Così, quando quel 4 luglio 1961, viene a sapere che c’è un problema del reattore di tribordo che mette in pericolo il prosieguo della navigazione, ad attivarsi non è solo il comandante che vuole salvare i suoi sottoposti, ma anche un uomo che non vuole perdere i suoi compagni di viaggio…

La storia che ci racconta Peter Huchtausen è una vicenda non completamente chiarita, nemmeno dentro i confini di quella che un tempo era l’Unione Sovietica. Quando, per tutti i cinquant’anni di guerra fredda, si è cercato di potenziare il proprio arsenale (specialmente quello nucleare) a scapito di quello statunitense, i propri fallimenti non sono le prime notizie a comparire sulle pagine dei giornali. Quello che qui si tenta di fare, quindi, è riabilitare l’inutile sacrificio di giovani militari sull’altare (ancora oggi grondante di sangue) di ogni conflitto internazionale. Operazione-verità in parte iniziata dall’ex presidente Gorbačëv, che propose i marinai per il Nobel della Pace, e dalla regista Kathryn Bigelow, che portò la vicenda sul grande schermo con Harrison Ford come protagonista. Proprio lei, nella sua postfazione, racconta come in realtà ci sia ben poco di inventato nel suo copione, in favore di un racconto genuino già abbastanza intricato e complesso. La storia di giovani che hanno riportato danni irreparabili e di altri giovani che invece hanno evitato danni ben peggiori alla popolazione civile. E che, per paura che potessero parlare, sono stati processati, esclusi, accusati, dimenticati. Attenzione, però, a leggere queste pagine trascurando che l’autore ne è stato parte integrante e fondamentale, del complesso meccanismo di geopolitica internazionale che è stata la guerra fredda, e da parte avversa a quella russa tra l’altro. Senza nulla togliere alla bellezza del racconto, quindi, non lo si può nemmeno considerare perfettamente oggettivo nelle tantissime considerazioni personali che in esso sono disseminate. Vale comunque la pena di farsi raccontare questa vicenda dai “vincitori” di quella guerra senza bombe? Sì, sia per il suo immenso valore storico, così come per la sua capacità di spiegare eventi ben più recenti (si pensi alla vicenda del Kursk nel 2000 e a tutti i morti che causò) ma non poi così dissimili dalla tragedia del K-19 e del suo comandante.