
“Tolstoj, l’erede più importante della tradizione epica; Dostoevskij, uno dei maggiori geni drammatici dai tempi di Shakespeare; Tolstoj, la mente ossessionata dalla ragione e dal fatto; Dostoevskij, lo sprezzatore del razionalismo, il grande amante del paradosso; Tolstoj, il poeta della terra, della campagna e della vita pastorale; Dostoevskij, l’ultracittadino, il maestro costruttore della moderna metropoli nella provincia della lingua; Tolstoj, l’assetato di verità, che distrugge se stesso e coloro che lo circondano pur di perseguirla; Dostoevskij, piuttosto contro la verità che contro Cristo, diffidente di qualsiasi comprensione totale, innamorato del mistero; Tolstoj, sempre, per usare un’espressione di Coleridge “sulla via maestra della vita”; Dostoevskij che avanza nel labirinto dell’innaturale, negli scantinati e nelle paludi dell’anima…”. Su queste antinomie si basa la contrapposizione tra i due più grandi esponenti russi della narrativa dell’Ottocento. Ma perché metterli a confronto come se l’uno fosse l’antitesi dell’altro? Perché di solito il lettore predilige l’uno all’altro ed è una scelta che adombra un engagement, in quanto Tolstoj e Dostoevskij, prima ancora che due diversi modi di concepire un libro, rappresentano due diverse concezioni della vita…
George Steiner è uno straordinario intellettuale, uno studioso eclettico e uno scrittore originale. A lui dobbiamo, tra l’altro, il controverso romanzo ucronico Il processo di San Cristobal, in cui si immagina che Hitler non sia morto nel bunker di Berlino ma si sia rifugiato nella foresta amazzonica, dove un commando israeliano gli dà la caccia. In Tolstoj o Dostoevskij Steiner esordisce con un’affermazione che è una dichiarazione d’intenti: la critica letteraria dovrebbe scaturire da un debito di amore. E, infatti, di amore ne esprime in ogni pagina, sia per Tolstoj, epico come Omero, che per Dostoevskij, drammatico come Shakespeare. Fra loro non c’è discordanza di statura, sono tutti e due dei titani, e hanno più punti di contatto di quanto non si creda. Li accomunano il valore delle loro opere e la vastità del loro lavoro, un’ampiezza delle forme che corrisponde all’esigenza di libertà che ha caratterizzato le loro stesse esistenze e la loro visione artistica. Sono stati opposti e complementari in ogni aspetto, persino nella costituzione fisica. La sanità di Tolstoj, con l’energia e la forza eccezionale che non lo abbandonarono nemmeno nella vecchiaia, e la malattia di Dostoevskij, minato nel corpo e tormentato dall’epilessia ma dotato di una non comune capacità di recupero, portano impresso un identico marchio di potenza creativa. Entrambi hanno avuto l’abilità di costruire attraverso il linguaggio realtà concrete, sensibili, ma pervase dal mistero dello spirito. A renderli immortali è soprattutto questo mistero e Steiner ci accompagna a comprenderlo con rigore ed entusiasmo. “Tutto intorno a noi fiorisce un nuovo analfabetismo, l’analfabetismo di chi sa leggere singole parole, o parole di odio e di clamore, e non sa afferrare il significato della lingua quando si manifesta in tutta la sua bellezza o in tutta la sua verità”. Steiner possiede l’encomiabile talento di cogliere e comunicare la bellezza e la verità della lingua di due indiscussi giganti. Per questo a distanza di tanti anni (Tolstoj o Dostoevskij è stato pubblicato per la prima volta nel 1959) il suo ricchissimo saggio continua ad avvincere, svelare, stimolare. Rimanendo assolutamente imprescindibile.