
1685. Il galeone spagnolo “Rey de Reyes”, al suono di una tetra fanfara, viene preso all’arrembaggio da feroci pirati, che sterminano gli ufficiali e parte dell’equipaggio. Mentre tutti i feriti gravi vengono sgozzati e gettati in mare assieme ai cadaveri, il capo dei pirati – un mulatto biondo dal fare guascone che tutti chiamano Capitano Lorencillo ma il cui vero nome è Laurens de Graaf – offre ai quattro cannonieri sopravvissuti la scelta tra arruolarsi nei Fratelli della Costa e passare sul brigantino pirata “Neptune” o morire. Tremando, gli uomini accettano. Lorencillo prende con sé anche il nostromo portoghese Rogério de Campos, che ha trentadue anni e da cinque presta servizio in mare e soprattutto non è spagnolo, ma lascia gli altri prigionieri alla deriva sul galeone con l’albero maestro abbattuto e il timone inchiodato, destinandoli a sicura morte. Rogério è in preda al terrore: de Graaf è una leggenda, uno tra i pirati della Tortuga più celebri e spietati, l’uomo che assieme al misterioso De Grammont ha messo a ferro e fuoco Veracruz due anni prima facendo una vera strage. Il nostromo, i cannonieri spagnoli e tutta la merce trasportata dal “Rey de Reyes” (compreso un prezioso carico di schiavi africani) passano sul “Neptune”, mentre ancora l’orchestrina pirata suona le sue marcette e la jolie rouge garrisce al vento. Sul brigantino pirata Rogério non trova certo una situazione tranquilla: il veliero ha subito comunque danni importanti, i feriti sono molti e il chirurgo di bordo fatica ad assisterli. La stiva è semisommersa e il nostromo portoghese viene messo al lavoro alle pompe per gettare l’acqua fuori bordo mentre i carpentieri tappano le falle…
Il primo romanzo della trilogia sui pirati di Valerio Evangelisti nasce dopo il grande successo di un suo racconto, I fratelli della costa, contenuto nell’antologia Anime nere, a cura di Sergio Altieri. A furor di popolo (e ben volentieri) lo scrittore bolognese rispolvera i suoi ricordi di bambino appassionato lettore di Salgari, ma li trasfigura in nome del combinato disposto di due principi a cui non deroga mai in Tortuga: la brutalità e l’intelligenza. Della prima c’è poco da dire, se non che abbonda tra le pagine del romanzo: ma a colpire il lettore più che i massacri, gli stupri e le torture sono la noncurante crudeltà degli uomini dell’epoca e il loro assoluto sprezzo per la vita umana – compresa la loro. Sulla seconda Evangelisti impernia il romanzo, che incredibilmente somiglia più a un conte philosophique che a un libro di genere: sotto a tutta la vicenda scorre dalla prima all’ultima pagina il fiume carsico del dibattito sulla natura della pirateria, che i corsari presentano come lo stile di vita più vicino alla vera natura umana, una selvaggia utopia libertaria che il protagonista – ex gesuita coinvolto in un complotto politico – ritiene invece una copertura usata per giustificare e “nobilitare” la semplice sete di violenza. Di intelligente a dire il vero Rogério de Campos ha ben poco, con la sua ossessione amorosa per una schiava africana, per la quale il nostromo giunge ad atti estremi che il contesto storico e culturale rende davvero poco credibili. Ma è solo un dettaglio, che non guasta la lettura di una storia potente, colorata e ammaliante.