
Luglio 2017, Madrid. Le feste a casa di June sono leggendarie: la sua casa con vista sul Palazzo Reale ogni sabato sera “si converte in un after per scrittori e politici di sinistra”. E da quando c’è Podemos nel “Gobierno del cambio” capita anche di trovarsi a pippare cocaina gomito a gomito con qualcuno che ricopre una carica pubblica. Ci si ubriaca senza tregua per parlare senza tregua, ognuno racconta aneddoti della sua vita e “c’è sempre qualcuno che dice a un altro: di questo dovresti scrivere”, però “tutti parlano di quanto vogliano scrivere ma nessuno scrive”. Aixa non si fa pregare per parlare, bere e pippare e alla fine crolla: si sveglia più tardi nel letto degli ospiti, sente le voci in salone ma non è ancora pronta a stare in compagnia. Così prende il cellulare e controlla i messaggi non letti, ne ha un casino. Per esempio un vocale della sua amica Zuriñe che sta ignorando da ben dieci giorni, è decisamente il momento di ascoltarlo. Brutte notizie: Zuriñe ha avuto un terribile incidente automobilistico (è uscito persino un articolo su “El Correo” con le foto della sua macchina distrutta) e ha molte ossa rotte, il bacino ridotto in mille pezzi, è viva per miracolo. Le chiede di andarla a trovare in ospedale per fare due chiacchiere. Aixa scoppia a piangere: cosa penserà la sua povera amica di lei, che per dieci giorni non ha nemmeno ascoltato il suo messaggio? Tiene disattivate le spunte blu su WhatsApp e perciò Zuriñe non può sapere se Aixa ha aperto il messaggio o no, ovvero se è “una figlia di puttana oppure una grandissima figlia di puttana”. June dice che in realtà lei non sta soffrendo per la sua amica in ospedale o per i suoi sensi di colpa, ma solo perché ha paura di quello che gli altri possano pensare di lei. Aixa fa per ribattere, ma si ferma: probabilmente è proprio così, è vero. Riflettendo comprende che la freddezza con cui affronta la sofferenza propria e altrui è ciò che le ha permesso di mantenersi sana di mente durante la stesura della sua tesi sulle rappresentazioni culturali del terrorismo, quando ha dovuto passare ore a guardare video di decapitazioni dell’ISIS, torture ai prigionieri di Abu Ghraib e roba simile…
Quarto libro (purtroppo unico tradotto in italiano) per la basca Aixa de la Cruz, classe 1988. Vincitore del Premio Euskadi de Literatura 2020 e finalista al Premio Strega Europeo 2021, Transito nasce da una reale urgenza nel 2017 in un periodo di grandi cambiamenti per la scrittrice spagnola, sia sul piano personale – aveva appena finito di scrivere la sua tesi di dottorato e questo sfogo debordante assunse per lei un ruolo terapeutico, come ha spesso dichiarato – sia sul piano sociale, perché proprio in quell’anno l’hashtag #MeToo si diffuse in modo virale dopo le accuse rivolte al produttore cinematografico Harvey Weinstein da numerose attrici di Hollywood (il movimento fu addirittura scelto come Persona (!!!) dell’anno dal periodico “Time”) dando il via al grande ritorno sulla scena culturale occidentale dei temi legati al femminismo, al gender e dintorni che oggi sono onnipresenti (“C’è stata un’epoca in cui il sesso era sesso e la politica politica. Poi le cose si sono mescolate”). L’idea dalla quale parte Aixa de la Cruz è di trasformare un qualcosa che somiglia moltissimo ad un diario in fiction: il risultato è un ibrido, per certi versi quasi un saggio in cui però la voce dell’autore non è annullata, anzi è chiaramente rintracciabile, un saggio contestualizzato, in cui anche ciò che è fuori, ciò che gira intorno al soggetto preso in esame entra in gioco nella scrittura e dona così valore all’insieme. Il titolo originale del libro è Cambiar de idea e quanto il titolo italiano riesce a raccontare efficacemente un percorso: quello di un corpo – con esperienze che portano alla definizione di se stessa e della propria femminilità – e quello di un’anima. Un percorso di crescita e trasformazione, con un finale aperto: perché nel cambiamento Aixa ha “appena preso la rincorsa”.