
Quando sei un adolescente che vive “nella provincia del niente, in un paesino riassumibile con «ci sono i laghi e poco più in là un scintillante inceneritore»” è facile essere preda di subitanee e impetuose fascinazioni per individui un poco più grandi di te che “bazzicano gli ambienti giusti” (vedi il sottobosco underground milanese) e che, con fare annoiato, sussurrano a denti stretti e occhi morti “fico” ogni qualvolta vengano snocciolati riferimenti al padiglione Serbia della Triennale o all’ultimo capolavoro cinematografico del Bhutan. Ai suoi occhi però, costoro sono creature diafane che, con occhiali dalla montatura spessa, dilatatori e frangette né troppo lunghe né troppo corte, incarnano un altrove pregno di cultura alternativa e profondissima. Ben presto però, capisce che quell’ennesimo e atono “fico” è più un vuoto mantra che una vera e propria interiezione di partecipato interesse. Così, decide di entrare a far parte della cricca di cinefili agguerriti, che considera il cinema - d’essai, ça va sans dire - come una conquista elitaria più che una passione condivisa e inquina le bacheche di Facebook di cortometraggi indonesiani di improbabile reperibilità. Ma ogni sforzo è vano. C’è un conflitto interiore che lo attanaglia: sta vivendo l’adolescenza con un atteggiamento di costante posa, sventolando ai quattro venti la predilezione per la musica alternativa quando, appena gli è possibile, si rintana in camera per un’overdose liberatoria di Britney Spears. Così, in un pomeriggio un po’ desolato, si aggira per l’altrettanto desolato centro commerciale di provincia e all’interno di una libreria ha un’esperienza epifanica. Nella sezione filosofia, a fianco a L’Anticristo di Nietzsche eccolo lì, che campeggia fiero: un libro di Barbara D’Urso su come riconoscere il linguaggio del corpo… Il trash lo pervade e capisce che respingerlo non è la cosa giusta da fare. No. Bisogna accettare il trash, abbracciarlo. Inizia così a volare nell’iperuranio, tra pubblicazioni di poesie di Flavia Vento e un fantasy young adult coscritto dalle Kardashian. È l’inizio di un percorso di ricerca curiosa, divertita e a tratti allucinata sui contenuti culturali più improbabili, veri e propri diamanti neri di rara unicità come la saga di film camp Sharknado, o l’album delle The Shaggs, la rockband formata da tre sorelle inglesi, inconsapevoli antesignane dell’outsider music e assurte a icone cult da nientemeno che Frank Zappa e Kurt Cobain. Allo svagato viaggio si contrappongono poi studi approfonditi sulle categorie estetiche di trash, camp e queer per poter ottenere una più piena consapevolezza dell’immenso mare del trash nel quale è così dolce naufragar…
Lettura deliziosa quella del saggio di Matteo Fumagalli, classe 1992, affermata e amata personalità del magico mondo del BookTube, ossia quella categoria di Youtube incentrata su contenuti a tema libresco e attorno cui gravita una solida e florida community di iscritti che interagiscono commentando i video, rispondendo alle challenge e alle proposte di gruppi di lettura. Il BookTube è assai vasto; dunque per poter spiccare e fidelizzare il proprio seguito ogni BookTuber deve essere in grado di delineare un profilo ben preciso al proprio canale. Quello di Matteo Fumagalli è variopinto, composito e organizzato in rubriche dai simpatici titoli evocativi come “Fumaclassici” (in cui si disquisisce di classici della letteratura), “PaccoPolacco” (dove vengono scandagliate le opere letterarie dalla mole considerevole e dal contenuto assai ingente), ma anche “LibriWTF” (acronimo per “ma che c****”? ad indicare l’assurdità e la stranezza di alcune opere) e “#LibroTrash” (in cui vengono recensiti, con verve sempre divertita e mai offensiva, libri oggettivamente brutti). La bellezza del canale di Fumagalli risiede appunto nel trattare di cultura alta e cultura bassa sempre con lo stesso piglio di ironica competenza, alternando consigli cinematografici su produzioni indipendenti, interessanti excursus sulla letteratura nipponica (imprescindibili Mishima e Murakami) a recensioni dettagliate sugli obbrobri editoriali, dalle copertine trash di edizioni economiche (e non) di classici alle pubblicazioni di dubbio gusto, quali young adult pruriginosi o romanzi che si vorrebbero “trasgry” (termine proprio all’idioletto di Fumagalli) ma che risultano solo risibili. Il fluido e multiforme contenuto del canale, così come i frizzanti toni leggeri - propri delle intelligenze che non si prendono troppo sul serio - sono stati sapientemente trasferiti nel presente saggio il quale sin dal titolo, con il suo riferimento al celebre film di Lina Wertmüller, fornisce la chiave d’interpretazione alla lettura: è cosa buona e giusta coltivare un proprio bagaglio di conoscenze culturalmente rilevanti ma! poiché, “non si può sopravvivere di Adelphi tutta la vita”, bisogna imparare ad esibire con rinnovata fierezza i nostri guilty pleasure più reconditi. Quindi, ascoltiamo Matteo Fumagalli quando intima: “togliete le sopraccoperte di Don DeLillo ai vostri Harmony!” perché “è dove muore il confine tra il bello e il brutto che si insinua la libertà.”