
Certo, quel che ha fatto è stato un po’ sopra le righe, lo ammette, ma non è stato certo lui ad iniziare! Una canzone dedicata su Twitter ogni mattina per darle il buongiorno, senza alcuna finalità se non quella di un corteggiamento discreto, senza insistenza alcuna. Poi, un giorno, accade l’incredibile! lei, proprio lei, la famosa conduttrice del programma di gossip Celebrità, WOW! che gli scrive “Ci vediamo il 26 marzo per un aperitivo, che ne dici?;)”. Sì, con tanto di occhiolino! Salvo poi inventarsi una scusa per cancellare l’appuntamento all’ultimo. E a lui questa cosa non è andata giù: ha provato a chiederle caute spiegazioni, su Twitter, su Facebook, ma lei lo ha addirittura bloccato. E solo per amore, si capisce, lui si è procurato il suo numero di telefono, e per una occasione del tutto fortuita si è ritrovato tra le mani le chiavi del suo appartamento… L’annuncio era attaccato ad un palo nei pressi del bar dove di solito si fermava per la colazione: “Padrona cerca slave”. E lui, il banchiere, si è fatto spiegare dal capo del personale il significato di quell’annuncio. Così ha capito di esserlo anche lui, uno slave. Uno schiavo. E così, rispondendo a quell’annuncio, ha avuto inizio la sua esperienza con la padrona: non una di quelle da “giri sicuri”, referenziate, professionali, frequentate e suggeritegli dal capo del personale. Una che alla prima seduta lo tramortisce con una mazza da baseball. Una donna da sposare… Il rapporto è stato sancito da un regolare contratto. C’è l’obbligo di riservatezza, lui deve chiamare lei per nome, o “amore”, o “tesoro” in pubblico. E “signora”, in privato. Deve mandarle sms e scriverle “ti amo” più volte al giorno. Fa bene il suo mestiere, sa quando essere dolce, e quando essere virile; a letto deve garantire “almeno quarantacinque minuti consecutivi dall’inizio dell’erezione, con un recupero garantito di tre ore tra una e l’altra, e con un massimo di tre nelle ventiquattro ore”. Non è facile essere un toyboy. Del resto, deve essere davvero difficile per gli altri, quelli che non sono pagati per farlo, garantire tutte quelle attenzioni…
“Non finge per me, finge per se stessa, ma per farlo deve fingere con me. Io a mia volta devo fingere di credere alla sua finzione. All’inizio, quando ero inesperto, non capivo per quale ragione mi dovesse far faticare così tanto se era tutta una messinscena, poi ho capito che era il tempo necessario a convincere se stessa di essere ancora giovane. Io servo per illuderla. Io credo che in fondo sia così per tutti, che tutti paghino per fare finta di essere ancora vivi”. Scrittore estroso e dissacrante – e se non l’avete mai incrociato, fate un salto sul suo sito internet (https://massimilianoparente.com) o sul suo canale YouTube Libri di merda bellissimi (https://www.youtube.com/channel/UCQZD4eaQS_nYf1SA_GOwgGg/videos) –, voce fuori dal coro nel panorama editoriale, collaboratore del quotidiano “Il Giornale”, Massimiliano Parente, classe 1970, grossetano (qui la sua intervista per Mangialibri), con la “trilogia dell’inumano” comprendente La macinatrice, Contronatura e L’inumano – da poco pubblicata in volume unico da oltre 1700 pagine dalla casa editrice “La nave di Teseo” –, ha mostrato di essere uno degli autori più originali nel panorama letterario italiano contemporaneo. Tre incredibili racconti erotici per ragazzi raccoglie tre storie (Stalker, Slave e Toyboy), ognuna preceduta da una tavola di Gipi – che di Parente è amico e con cui condivide la passione per il videogame Call of Duty –, in cui l’elemento erotico preannunciato nel titolo fa semplicemente da sfondo, minimo comune denominatore a trame raccontate in prima persona che dipingono con ironico disincanto rapporti costruiti su logiche di possesso, dominio, utilizzo dell’altro. Le dinamiche che si intrecciano appaiono tanto più mostruose quanto più si rivela la loro credibilità, a dispetto del titolo stesso della raccolta: personaggi estremi che tentano di colmare orridi vuoti con legami caratterizzati da logiche di violenza, implicita o esplicita, in cui i ruoli vittima-carnefice hanno margini sfumati, a tratti impalpabili; specchi deformanti che riescono a restituire caratteri perfettamente riconoscibili. Abissi in cui guardare, e in cui scoprire sensazioni a volte penose, a volte inquietanti, di “già visto, già vissuto”.