
Un uomo che sta per diventare padre viene improvvisamente assalito da un senso d’angoscia. La sua paura non è legata al ruolo che l’attende. Appare piuttosto dettata da un sentimento di smarrimento, che lo riconduce à rebours. In un “luogo” dimenticato ritrova i suoi giornalini e i Tintin, gli album originali di Cocco Bill, i Mandrake, Nembo Kid, Linus, Topolineide, l’Uomo Mascherato, che hanno abitato la sua infanzia, rivivono nel fremito di un ricordo struggente, che vorrebbe custodire solo per sé, incorrotto... Un vecchio nonno sfoglia insieme alle dita curiose del nipote la sua annosa raccolta di Urania. Le copertine numerate si imprimono negli occhi, alla stregua di reliquie. I titoli evocano sentimenti ancestrali. Le date di pubblicazione, quelle delle ristampe, le traduzioni, le introduzioni, persino la pubblicità interna sono il Verbo di qualsiasi iniziazione... Il mito di otto scrittori, che hanno svelato l’Avventura e il Sogno, il Mistero e l’Irraggiungibile, ripercorrono le commuoventi fasi dell’illusione acerba di un ragazzino, che volle scorgere in essi un unico artefice... Ancora, le “musicate parole” delle canzoni degli alpini, che riecheggiano nel pensiero di una voce materna, come ninne nanne e dolcissime fiabe; le macchinine scambiate con gli amichetti; il Winchester di cinquanta centimetri, usato ininterrottamente dal 25 dicembre 1963 al 9 maggio 1964; i giardinetti e i baracchini, le mamme che lavorano a maglia, i figli sbucciati sulle biciclette; il mazzetto delle figurine dei calciatori, il fortino di legno...
Sono questi i protagonisti dell’infanzia di Mari. Oggetti lontani, giochi accantonati, libri dispersi in un tempo remoto e spesso rimosso, che tornano a ripopolare le pagine ingiallite della memoria. Emozioni sepolte dall’età disincantata della maturità, suggestioni sommerse nella falda di una vita che ammucchia momenti, anni, secoli. È il “prima” a riemergere, con dolore e malinconia, quasi rabbia, negli undici racconti (l’ultimo, a parer mio, il più bello), che ricompongono e recuperano idealmente “l’altra” metà dell’autore. Il risultato ha il sapore dolce e ferruginoso del sangue, consumato in un addio reiterato negli ossessivi inventari dei reperti letterari che ci intrattengono e non ci lasciano più. Perché quella di “tenere stretto fino alla morte ciò che si è amato anche un solo mattino” è l’unica via che abbiamo per non tradirci mai. Un avvertimento ai lettori è necessario: la lingua utilizzata da Mari può destare in principio qualche perplessità, il suo stile potrebbe essere scambiato per vetusto, le parole fraintese per vespertine... ma non disperate. La poesia della memoria è stratificata in un’archeologia di nomi. Basta un soffio soltanto per scoprirla e rimanerne folgorati.