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Tutte le poesie

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L’isola diviene simbolo dell’estraniazione dalla realtà, vivere nella solitudine assaporando il silenzio, nella riflessione e nella cura della propria anima. La solitudine la si incontra come un’amica fedele nella totalità della natura, in lontananza la città e il ricordo della vita civile accettate malgrado la consapevolezza del vuoto dei rapporti personali “Perdo lo spazio nei luoghi, ed il silenzio e il suo infinito nelle occasioni del tempo: io stesso casuale in brevi sguardi di cose vere, in ascolto di voci…” Ma anche la città può condurre all’estraniazione nei momenti in cui il fluire comune si manifesta agli occhi del poeta, dimesso e riservato, in immagini piene di luce “Sento di camminare, spiccato ad ogni mio passo, tranquillo, ventilato dalla larga apertura del volto. Il sole leggero affresca i palazzi di verde tenero, e le botteghe dai vetri limpidi oscillano alla mia schiena”… La sensibilità si esprime attraverso momenti ricorrenti, simboli di un vivere profondo ed estremamente personale nella bellezza del mare descritta anche attraverso la presenza dell’uomo, che lo assume giorno dopo giorno, o nella sera e nella notte apprese come una dimensione ultraterrena. E in questi frangenti il poeta cerca il contatto con gli elementi esterni, attraverso la personificazione entra a far parte della natura e la natura entra in lui, in una simbiosi che conduce all’equilibrio “Vedo ai giardini la fresca gioia della mia faccia lavata: alle pietre, un sapore netto: alle gole, il canto scandito”… La descrizione delle immagini resta un elemento poetico costante, forme più o meno delineate colpite variamente dalla luce si succedono in modo incalzante, si insinuano tra i pensieri riportati nei versi, a loro legate anche per le emozioni che ricordano. L’infinità del mare, il paesaggio attraversato dal fiume Ticino, una persona intenta a riflettere sull’amore; e quest’ultimo sentimento diviene motivo di continua riflessione non solo nell’esperienza personale, ma anche in una dimensione universale “L’amore è l’erba che stenta / nel secco di tutte le crepe /è l’erba ariosa che inventa / i prati, gli alberi, il sole.” Ma tra i versi a volte si fa spazio una riflessione triste sulla caducità della vita nella morte…

La poesia di Alfonso Gatto rappresenta un punto d’incontro tra due realtà artistiche e culturali del pieno Novecento: da una parte l’Ermetismo, stile teorizzato da Salvatore Quasimodo che avvolge in una nebbia di mistero il messaggio dell’autore, dall’altra il Surrealismo, in una visione altrettanto misteriosa, addirittura ultraterrena della realtà. Il linguaggio è quasi sempre di estrema complessità, anche i fatti quotidiani vengono descritti attraverso elaborati accostamenti di parole, niente a che vedere con la poesia prosastica e narrativa dei contemporanei che seguono l’esempio dei Crepuscolari. I paesaggi surreali nascondono a loro volta messaggi da scoprire, sembrano visti con gli occhi di una mente sofferta, quasi mai in sintonia con la realtà, eppure profonda e affasciante nelle sue divagazioni. D’altronde l’autore non ha bisogno di nascondere il suo dolore, in una lirica sensibilizza l’uomo a esternare la sua sofferenza, è bene condividere anche i sentimenti più difficili da affrontare. Uno dei temi ricorrenti, quasi sempre lievemente accennato, è la morte, descritta nel ricordo degli ultimi momenti di vita della madre, o come epilogo del costante consumarsi della materia nel trascorrere del tempo. Ma il tema che assume maggiore rilevanza nella poetica di Gatto è l’amore, a volte addirittura intrecciato proprio alla morte come accade in una non certo irrilevante tradizione letteraria che comprende opere dell’intensità di Romeo e Giulietta. L’amore viene visto nelle sue varie forme e conseguenze, anche nell’abbandono che suscita dolorosi sentimenti di grande profondità, da cui emerge il ricordo della donna amata come entità evanescente, onirica, che spesso si fonde alla natura. E quest’ultima assumendo forme surreali diviene musa ispiratrice per l’autore sempre e inevitabilmente interessato a comunicare il proprio stato d’animo, anche per l’appunto attraverso le componenti del paesaggio. Alfonso Gatto nasce a Salerno il 17 luglio del 1909 in una famiglia di marinai di origini calabresi e muore a causa di un incidente automobilistico l’8 marzo del 1976. Dopo aver vissuto la sua prima giovinezza in modo irrequieto sottoponendosi a svolgere vari mestieri, nel 1938 fonda a Firenze con Vasco Pratolini la rivista “Campo di Marte”, voce ufficiale dell’Ermetismo. Aveva inaugurato la sua carriera letteraria sei anni prima con la raccolta Isola, a cui era seguita Morto ai paesi nel 1937. Impegnato nella guerra civile, torna alla poesia nel 1949 con Il capo sulla neve. Ormai autore affermato pubblica negli anni le altre raccolte La forza degli occhi (1954), Osteria flegrea (1962), La storia delle vittime (1966) e Rime di viaggio per la terra dipinta (1969). Alfonso Gatto riposa nel cimitero di Salerno, sulla sua lapide l’epitaffio a lui dedicato dall’amico Montale recita “Ad Alfonso Gatto, per cui vita e poesia furono un’unica testimonianza d’amore”.