
Terza antologia nella quale il compianto Marco Frilli – l’editore genovese d’adozione scomparso nel 2016 – si aggira talvolta in primo piano, talaltra in modo schivo, altre ancora in veste di fantasma, nelle brevi vicende narrate dai suoi autori. Lo troviamo seduto in trattoria incuriosito da una triste ed affascinante donna che viene, ahimè, raggiunta da un marito con il quale sembra discutere animatamente: cosa sta accadendo tra i due? È al mercatino natalizio di San Nicola della sua Genova che, in fila per i frisceu, Marco incontra Lara, la ragazzina appassionata di gialli: sarà proprio lei a dipanare la trama di un delitto avvenuto alla coda per le frittelle genovesi... Chissà cos’è che rende così particolari i cioccolatini di Madame Roux; Marco non ama il cioccolato fondente e la signora gli ha promesso un nuovo preparato di cioccolato al latte per il giovedì successivo. Ma la donna sparisce prima che Marco possa provare quei cioccolatini così particolari... Una Bagna càuda allestita alla bell’e meglio viene servita priva di un elemento fondamentale, il cardo gobbo di Nizza Monferrato: quell’assenza costerà la libertà ad un assassino...
La prosecuzione della lettura di Tutti i sapori del noir dopo le prime pagine è francamente faticosa e mossa unicamente dalla speranza ahinoi delusa – escludendo Matteo Monforte e Bruno Morchio – di trovare prima o poi un racconto buono. O che quantomeno non proponga situazioni prive di qualsiasi legame con l’esperienza del vissuto, con le dinamiche investigative reali e non infarcito di dialoghi inimmaginabili nella vita. Quarantanove autori per quarantasei novelle che sembrano uscite quasi tutte dalla stessa penna, che non disdegna la “candida neve”, “gli occhi azzurri come il cielo terso”, “le curve mozzafiato” (nel banale soffermarsi sul corpo femminile sono particolarmente ed inspiegabilmente prodighe le autrici) o la “soffiata di un uccellino che ha vuotato il sacco” (Marlowe non lo diceva più già nel 1952). Sembra che gli autori si siano assegnati un tema con tre obbligati: Noir, cibo e “personaggio Frilli”, dandosi un tempo di consegna che non attendesse l’arrivo di un’idea valida e confidando nel fatto che il super abusato e logoro binomio detection/gastronomia funzionasse da solo. Ma non funziona quando l’aspetto culinario appiccicaticcio risulta estraneo ad un contesto investigativo che peraltro non regge. Controproducente poi citare nel risvolto di copertina Agatha Christie, Stout, Camilleri, Montalbán e Simenon: quest’ultimo in particolare, se nominava – ad esempio – un natante, doveva conoscerne il pescaggio, il flatting adatto e la filettatura delle viti che impanava. Qui siamo all’opposto: si raccontano con leggerezza avvilente per chi legge dinamiche evidentemente sconosciute a chi scrive, e stupisce la probabile assenza di un editing comparativo e tecnico che avrebbe evitato che nel connubio noir/cibo la soluzione dell’avvelenamento fosse – banalmente – quella più battuta. Uno degli autori, Alessandro Maurizi, è anche Sovrintendente Capo della PS ed avrebbe potuto spiegare agli altri autori che (a caso, in ordine sparso): durante i rilievi della Scientifica le amiche della vittima non possono ravanare sulla scena del crimine (parlando di ricette poi, come no?! Chi di noi non si mette a parlare di cucina in casa di un’amica appena uccisa a coltellate con la Scientifica nell’appartamento che magari ci dice “restate pure, toccate quello che vi pare”?) fino ad ispezionare lo smartphone della morta; per un delitto commesso in strada non intervengono i “celerini”; un privato qualunque non può entrare nel perimetro di un rilievo omicidiario in corso solo perché amico del commissario: il magistrato di turno potrebbe fare gli occhi brutti visto che “nelle eventuali more dell’arrivo del Pm inquirente (...) gli agenti di polizia giudiziaria, ai sensi dell’art.354 c.p.p. curano che le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 non si alterino o si disperdano o comunque si modifichino se il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente” (regolamento di P.G. sul Sopralluogo, un’occhiatina magari...). Bene, anzi male. Detto questo è difficile che tale commissario, in casa di una donna assassinata mentre pranzava e le cui cause del decesso sono ancora ignote (magari avvelenamento), si metta a mangiare i di lei avanzi offrendone anche all’amico intruso, a meno che non si tratti di una scena interpretata da Leslie Nielsen; in un episodio che non cito per non far torto a nessuno si arriva poi al totale analfabetismo procedurale circa competenze della Procura, autopsie, integrità delle prove e refertazione... Sempre in ordine sparso: uno strozzino non tiene il computo dettagliato in chiaro degli interessi usurai (e chi lo trova ha fatto Bingo), ci sono altri metodi che appaiono legali (ad esempio intestazione fittizia di beni) e che necessitano di controlli finanziari complessi, altrimenti per stroncare l’usura basterebbe il sequestro delle agendine; un omicida che accoltella un uomo e ha l’accortezza di inscenare un suicidio gettando il cadavere sotto un treno lasciandogli il coltello nella schiena rientra nel campo dell’idiozia, non in quello della sottigliezza investigativa; un operatore di Pronto soccorso chiamato per il malore di un tizio non ha alcuna facoltà di ordinare telefonicamente ad un privato l’isolamento di un intero ambiente perché “potrebbe non trattarsi di fatalità” (sotto responsabilità e garanzia di chi, poi?); un assassino non riuscirà mai, travestendosi da cameriere, a “confondersi” tra il personale di una trattoria, prendere comande, ritirare portate e servire ai tavoli “passando inosservato”: non ci riuscirebbe nemmeno una bionda cicciottella in abito tradizionale bavarese con sei birre addosso in un capannone dell’Oktoberfest. Ci si chiede poi quale poliziotto fermerebbe mai un barbone solo per aver raccolto un avanzo di tramezzino, apostrofandolo per giunta così: “Ehi bel tomo, non lo sai che il regolamento di polizia urbana sanziona con una multa di 200 euro chi rovista nei cassonetti dell’immondizia? Vai a rimettere quella roba (il tramezzino?! ndr) dove l’hai trovata e chiuderò un occhio, diversamente, visto che soldi di sicuro non ne hai, chiamerò gli operatori dell’AMIU per spazzar via la tana dove certo ti stai andando a coricare” (Sic!). Ohibò... verrebbe da dire. Tutta l’operazione ha il sapore dell’autoreferenzialità di un club chiuso che sembra profondersi in compiaciute autocitazioni che il lettore può solo intuire. Inserire per forza il compianto Marco Frilli in ogni racconto farà piacere ai suoi affezionati autori, ma farlo senza riuscire a conferirgli un allure letterario fa dispiacere al lettore ed al buonsenso estetico. Il proditoriamente citato Maigret s’è imbattuto in un centinaio di delitti in 42 anni di carriera letteraria coprendo Parigi e tutta la Francia. Ed è Commissario al Quai des Orfèvres. Far trovare 46 volte “per caso” un editore sulla scena di un crimine in sole 200 pagine che da Genova si spingono in Val d’Aveno può apparire grottesco come quel prete televisivo che girando in bicicletta per l’Umbria ha conferito a Gubbio e Spoleto una valenza criminale che ormai quelli del Cartello di Sinaloa sono terrorizzati a metterci piede. Foto di Parajedi su licenza Creative Commons.