
Miranda è distesa sul pavimento, in un disperato tentativo di trovare una posizione che alleggerisca i tremendi dolori alla schiena e all’anca. Una volta era un’attrice avviata a una carriera radiosa, ma poi, durante la messa in scena dell’opera Tutto è bene quel che finisce bene di William Shakespeare, è caduta dal palco. Da allora, pur essendo stata operata e pur avendo incontrato innumerevoli medici, il suo stato fisico è disastroso. Imbottita di antidolorifici, Miranda è quindi consapevole di essere diventata insopportabile a tutti, giacché non fa altro che lamentarsi. Le uniche “sicurezze” che le restano sono la collega Grace, che mostra ancora un briciolo di pietà, e il suo lavoro d’insegnante. Ora però, dal momento che tra i suoi doveri didattici c’è proprio quello di fare da regista alla rappresentazione shakespeariana annuale del college, quasi come rivalsa, ha deciso di rimettere in scena Tutto è bene quel che finisce bene, opera che ha stravolto la sua vita. C’è però un ennesimo problema: i ragazzi sembrano intenzionati a un vero e proprio ammutinamento, poiché invece di questo spettacolo pressoché sconosciuto vorrebbero mettere in piedi il ben più ambizioso Macbeth. Sembra insomma che anche quest’ultima soddisfazione per Miranda sia destinata a naufragare, quando avviene un fatto assai curioso: in un pub, a notte tarda, incontra tre uomini misteriosi che le promettono mirabolanti sviluppi...
Questo romanzo oscilla costantemente tra l’onirico e il realistico, e sino all’ultima pagina il lettore rimane in dubbio: la protagonista è in preda a un delirio mistico dovuto ai farmaci, o davvero la sua vita sta prendendo svolte incredibili e magiche? Awad, con grande abilità, imbastisce quindi una storia che riesce al contempo a intrattenere, avendo un buon ritmo, e a raggiungere anche un’ottima qualità letteraria, riscrivendo l’opera shakespeariana da cui prende il titolo. Ma, proprio come avviene anche all’interno della narrazione stessa, il romanzo pare letteralmente indeciso su quale strada intraprendere: rimanere davvero una riscrittura moderna di Tutto è bene quel che finisce bene, come vorrebbe la protagonista, o diventare invece una rielaborazione del più celebre Macbeth, tra streghe (o stregoni, in questo caso), vendette e omicidi? Questioni letterarie a parte, però, questo è anche, o soprattutto, un romanzo sulla nostra società: società che non sopporta gli estremi. Come all’inizio infatti la protagonista è insopportabile nel suo eccessivo lamentarsi, nella seconda metà (quando trova un’incomprensibile cura) diviene invece insopportabile nel suo eccessivo ottimismo; e, come lei stessa dice, è chiaro allora che nessuno di noi può sopportare i due opposti, e che tutti al giorno d’oggi vogliamo sempre rimanere immersi in un grigiore di sensazioni indefinite.