
L’adolescenza di Dolly nella periferia londinese ha il suono della connessione dial-up a internet, con i suoi inconfondibili bip metallici. Per una ragazzina confinata a Stanmore, l’ultima fermata della Jubilee nella zona di North London, le chiacchierate con gli amici sono identificate con interminabili scambi di messaggi su MSN. Uno spazio virtuale privato in cui il suo alter ego, munchkin_1_4@hotmail.com, può fare il suo ingresso nel mondo dei primi amori, chiedere senza vergogna amicizia a ragazzi fantasma dall’aspetto ignoto o, al massimo, timidamente intuibile dal piccolo avatar associato all’indirizzo e-mail. Molti gli incontri virtuali, pochi quelli tradotti in appuntamenti reali e, tra questi, fin troppe le delusioni. L’idea di amore che Dolly elabora è quella costruita con i messaggi copiati e incollati in pagine word, diligentemente stampate e inserite in un raccoglitore ad anelli. Ma l’adolescenza non è solo curiosità per l’altro sesso, è anche il tempo delle grandi amicizie: c’è quella indissolubile che la lega a Farly ma anche varianti scanzonate e pazze come quelle nate con Lauren, AJ, India, Belle. È il tempo di assurde passioni, ad esempio per i vecchi musical con Gene Kelly e Rock Hudson; delle serate passate a parlare su una panchina al freddo e al gelo, dopo essere state buttate fuori dal ristorante; delle cover dei Dead Kennedys cantate in versione bossa nova in una rimessa. Con l’università arriva la possibilità di strapparsi via quell’abito da provinciale, di ragazzotta di periferia molto alta e molto bionda e inizia l’era degli schiuma party a base di Vodka Energy e di ragazzi veri, in carne ed ossa. Il suo diario si trasforma nella cronaca di appuntamenti e di feste disastrose, corredata da ricette salvavita in grado di allietare un cuore spezzato e solo o adatte ad un brutto hangover. Questa è Dolly: vera, schietta e incasinata; inizialmente un po’ grassottella ma, ad un tratto, fin troppo magra; determinata ma profondamente fragile. Di quella fragilità che si genera dall’insicurezza e infatti, sarà sufficiente la comparsa di un ragazzo al fianco di Farly per farla sentire abbandonata e spaesata nel ruolo di terzo incomodo...
Ecco l’ennesimo memoir incentrato sulle vicende amorose di una ragazzina britannica! Un pensiero, oserei dire, più che legittimo per chi si imbatte nel volume in libreria e facilmente giustificabile anche dalla scelta del titolo. Ma questo piccolo diario personale messo insieme da Dolly Alderton, classe 1988, scrittrice, giornalista e podcaster inglese, è anche qualcosa di più. È una visione scanzonata e irriverente dell’amore, nelle sue sfumature idealizzate, romantiche o prettamente carnali a cui però si accompagnano riflessioni più intense e ampie che toccano tutto ciò che l’amore lo nutre o lo distrugge. Ci sono paure, insicurezze, alcool, disordini alimentari e battaglie contro mali devastanti. Non si può parlare di un vero e proprio viaggio verso il tanto ambito self-improvement, questa non è una storia didascalica che insegna a gestire l’amore e a viverlo in un modo costruttivo e positivo. Dolly non ci capisce molto dell’amore, né da adolescente, né da adulta. Continua a fare sbagli, a incasinarsi la vita, ad avere paura di veder scadere la propria esistenza in una sequenza di eventi ordinari e ripetitivi. Ha paura di non capire, di non riuscire a comunicare, di non avere sempre la forza di affrontare quelle montagne russe che sono la vita. A volte ha voglia di chiudere gli occhi e di non alzare le mani durante l’ennesimo giro della morte; altre invece urla a pieni polmoni quella vitalità che, chissà come, torna sempre a ridarle respiro. E allora cos’è che Dolly può fare? Imparare a “bastarsi” e a capire come sentirsi completa e intera anche in quell’immancabile imperfezione che non sarà mai in grado di cancellare, perché è quello che la rende vera. “Abbracciati forte, e mentre ti stringi, stringi forte anche questo pensiero: io ho te”.