
Una macchina con il serbatoio pieno, due amici, una porzione di continente da scoprire per raccontare un’intera umanità da conoscere e soprattutto tanta strada, fra laghi, montagne, alberi, storie e leggende. Inizia così, da Buenos Aires, da una bevuta, che sa di benedizione, con Osvaldo Soriano, il viaggio che due amici, Luis e Daniel, accompagnati soltanto da una Moleskine e da una Leica, intraprendono nel 1996 attraverso la Patagonia: da San Carlos de Biraloches a Punta Arenas, alla Terra di Fuoco, “fra terra e cielo”, sempre avanti. Le ferrovie faticano, le strade si inerpicano e sono spezzate dal vento, perché tutto congiura contro l’invasione umana. Accade così che i due amici si imbattono nel Tano e si ritrovano a cercare violini nella pampa. Oppure si imbattono nel pronipote di David Crockett. O ancora si intrattengono con una novantenne che dopo la morte del marito, vittima dei lavori della grande ferrovia Patagonia Express, sa di non essere sola perché con lei, nella notte stellata della Patagonia, ci sono ancora le sue capre, il suo cane e il suo albero. L’avventura si spinge fino all’ultima frontiera, dove la terra e il mare si ritrovano nel freddo e nelle onde. Ed i due amici scopriranno che anche lì, oltre il 42° parallelo, dove l’uomo non smette mai di stupirsi, è possibile trovare un cinema e vedere un vecchio film…
Nato come un progetto ambizioso, quello di vagare senza una meta precisa nel Sud dell’America, il libro ricompone gli appunti di viaggio diventando molto di più di un taccuino o di un qualunque resoconto: le storie di Luis Sepúlveda, arricchite visivamente dalle foto di Daniel Mordzinski, ricostruiscono per frammenti i contorni struggenti e vitali di un continente che oggi, a distanza di trent’anni, non esiste più, sia nella geografia sia negli uomini che oggi lo abitano. Dal racconto a due voci, ognuno con il suo linguaggio, quello della parola e quello dell’immagine, emerge quest’ultimo avamposto dell’umanità, dove tutto sembra mitico, dove tutto ha i suoi tempi e le sue leggi che non valgono nel resto del mondo, e viceversa. Sepúlveda, come Bruce Chatwin in In Patagonia, ma anche come l’Ernesto Che Guevara dei Diari della motocicletta, va alle radici dell’essenza della sua terra, che significa in un certo senso andare alla sua essenza di uomo nato in Sud America, quasi a rischio di estinzione. Il racconto nasce per gioco, quasi come una sfida: vedere cosa resta del Sud del mondo, cosa riesce a lasciare l’uomo quando decide di vivere in un luogo che invece la Natura vuole conservare. Per questo il viaggio si infarcisce di riflessioni sulla brutale attualità, sulle conseguenze dell’aggressione occidentale, sulle periferie sempre più povere e non mancano attacchi amari alla furia conquistatrice che ha sottratto tutto agli indios. Raccontare diventa l’ultimo modo per resistere.