
Fino al secolo scorso, in guerra, era fondamentale la presenza di eroi di cui non si parla spesso: gli animali. Non solo i cavalli, ben presenti nei monumenti e nell’immaginario, ma anche una serie di compagni fidati e indispensabili lavoratori hanno subito, senza aver voce in capitolo, gli orrori delle guerre. La Prima guerra mondiale, per la peculiarità dei teatri di scontro e per il graduale e inesorabile avanzare della tecnologia militare, è stata una durissima prova, oltre che per gli uomini, per tutti gli animali. Su per gli erti pendii delle Alpi venete, gli infaticabili e testardi muli hanno portato rifornimenti e armi. Laddove la comunicazione fosse impossibile, i pacifici piccioni hanno dato mostra del loro incredibile senso dell’orientamento, riportando messaggi, informazioni, richieste di aiuto. Persino le api hanno avuto un ruolo fondamentale in guerra: grazie all’acuta sensibilità per i gas asfissianti, avvertivano per tempo i soldati che altrimenti sarebbero periti. Poi i militari della cavalleria sono diventati aviatori, sui nuovi “cavalli con le ali”, e la rapida evoluzione tecnica ha permesso più efficienti trasporti e sistemi di comunicazione. Ma nella memoria della guerra rimane il sacrificio di cani e gatti, muli e bovini, persino degli animali selvatici di montagna; le cui storie senza voce abitano ancora nelle storie degli uomini...
Questo breve libro del prolifico documentarista e divulgatore Folco Quilici affronta un aspetto curioso della Grande guerra. Le più diverse specie animali sono sempre state impiegate dall’uomo per i conflitti; tuttavia l’inizio del secolo scorso segna in questo campo – come in molti altri – uno spartiacque profondo. La guerra si fa quantomai aspra e sfiancante: a disumani sforzi bellici e sacrifici immani fanno seguito risultati insignificanti, se ce ne sono. In questo contesto, l’idea stessa di umanità è messa in crisi e, con essa, il rapporto tra uomini e animali si fa sfaccettato e contraddittorio. L’autore ne segue vari aspetti, concentrandosi in ogni capitolo della prima parte del lavoro su una specie animale diversa; in seguito, ma senza un vero e proprio ordine di svolgimento, altri capitoli osservano gli sviluppi tecnici dell’arte bellica e come questi abbiano soppiantato o modificato il lavoro degli animali nelle varie operazioni. Nello sviluppo dell’argomento, Quilici alterna dati statistici e curiose storie particolari, ricordi personali e vertiginose cifre di stime dei morti; così come spesso tra le storie della Grande guerra si inseriscono esempi tratti da conflitti più antichi o più recenti. L’andamento di questa scrittura risulta poco agile, a tratti confuso ma assai piacevole: l’effetto è meno simile ad una lettura che all’ascolto di un affascinante racconto aneddotico e didattico. Al di là di tutto, le vicende ricordate, i documenti citati, l’emotività e l’ottimismo che traspaiono in alcuni passaggi: tutto mette ben in luce l’orrore che la guerra ha rappresentato in quegli anni e in ogni altra occasione della storia.