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Un altro me

Un altro me
È domenica dopo pranzo, le solite baruffe dei fratelli quasi estranei… È già ora per Bernard di andare via. Non è che gli dispiaccia più di tanto. Il freddo umido alla fermata dell’autobus e poi il collegio. Per fortuna tutto va sempre nello stesso modo. Per fortuna… Lo attende un’altra settimana di lezioni, di rapporti quanto più distanti possibile con i compagni, e di notti a parlare con se stesso…
E già! Malattia devastante quanto inevitabile che tocca a tutti, inesorabilmente, come le malattie esantematiche: avere quindici anni o poco più è un’affezione davvero terribile e significa soprattutto dubbi, paure, incertezze. Al punto che non è importante neppure chiamarsi per nome per raccontare di sé e dell’”altro me” che si vorrebbe essere. Non si chiama mai per nome Bernard Friot - lunghi anni da insegnante e scrittore per ragazzi - nel romanzo, una storia che appartiene alla collana autobiografica “Gli anni in tasca” (Topipittori) in cui gli autori raccontano le proprie età acerbe. Ma, forse, non chiamarsi per nome ha un intento più programmatico e sottile: evidenziare la consapevolezza che la storia di solitudine, angoscia e senso di inadeguatezza che si legge in queste pagine è la storia di tutti, o quasi, poiché la tappa necessaria e instabile dell’adolescenza lascia tracce in ognuno di noi. Per Bernard Friot questa ricostruzione emotiva segue le immagini di se stesso adolescente, a cominciare da quella delle attese dell’autobus che ogni domenica sera lo riporta al collegio dove frequenta, come interno, il liceo,a ottanta chilometri da casa ma anni luce da sé. D’altra parte Bernard “non è a casa da nessuna parte”, ovunque si sente estraneo e solo con se stesso. Ma, più che di immagini, questo è un racconto di emozioni, sensazioni, atmosfere, anche metereologiche che, come capita spesso, assecondano quelle del cuore e sono destinate a “depositarsi nell’anima fanciulla e poi adolescente”, per poi riemergere all’improvviso da un limbo nel quale si credeva di averle sprofondate. L’umidità e il freddo sulla schiena a quelle fermate, il grigio parigino, ostile quanto il sole, a scandire la monotonia delle giornate e degli orari scolastici, la pioggia a lavare per un breve momento i pensieri tristi, perché “cancella le linee rette e abolisce le distanze” e a permettere a qualche lacrima indisciplinata di sfuggire al controllo continuo, il buio amico della sera quando “c’è la speranza della notte, del sonno, dell’oblio” perché “la notte è un momento accettabile. Una promessa di annullamento”. Questi i momenti che fanno la storia di Bernard. “È il corpo il nemico”: la frase ripetuta di tanto in tanto; il corpo goffo, inadeguato, sbagliato, sempre pronto a cadere, quello che impedisce di essere invisibile, di “essere morto”, è questa la zavorra che a volte impone, addirittura, il contatto con gli altri… Il contatto tollerato è solo quello fuggevole con altre paure, altre insicurezze, ma può essere solo sfiorato perché, altrimenti, potrebbe denudare l’essere più intimo e renderlo troppo fragile ed esposto. Dichiaratamente autobiografico, questo piccolo libro intenso e complesso, cupo e disperato si esprime in periodi spesso brevissimi, attraverso un asindeto sconcertante che fa pensare ad un flusso di coscienza singhiozzante, come fosse un pianto sommesso, e diventa - sono parole di Friot - “strumento per chiudere il capitolo della propria adolescenza”. Perché la scrittura, nella sua funzione catartica, permette una presa di distanza da ciò che , dopo anni, continua a pesare sul cuore da qualche parte come fanno i ricordi dolorosi, così da poterlo guardare, dopo, anche con un sorriso di tenerezza. Riappropriarsi della memoria per condividerla con i lettori serve dunque allo scrittore, ma ha lo scopo di tendere una mano al lettore adolescente, destinatario privilegiato, per offrirgli un aiuto. Ma, sarà che un piccolissimo graffio, dall’adolescenza, è rimasto in ciascuno di noi, sarà che la scrittura non è affatto semplicistica e si arricchisce anche di pensieri ed emozioni che si fanno componimenti poetici alternati al testo, il romanzo è di certo consigliato anche a chi adolescente non lo è più da un bel pezzo. C’è da scommetterci che ci troverà almeno un pensiero che gli appartiene, o che gli è appartenuto qualche anno fa.