
Margherita Russo ha 74 anni, è discretamente in salute, è vedova di Luigi Loiodice che l’aveva sposata nel 1967 in seconde nozze. Non ha avuto figli suoi, perché il marito aveva già due gemelle di nemmeno cinque anni che lei ha cresciuto, e ciononostante non è che le siano particolarmente affezionate. Questo è quello che le dice anche la signora Concetta, una strana donna vestita di scuro che si materializza un pomeriggio di aprile sul divano di casa. Sembra essere al corrente di tutto quello che è successo e succede lì, ma è anche vero che quando una delle gemelle arriva per portarle la spesa, non la vede nemmeno. Ci vuole poco per Margherita “a fare uno più uno”: la donna che è dentro casa sua è un fantasma! Peraltro fuma sigarette che lei non ha mai visto in commercio e che non hanno proprio il benché minimo odore e lei ne sa qualcosa, soprattutto per la fatica che fa a far uscire quel puzzo tipico da casa, per non farlo sentire alle figliastre, perché lei, beh sì, anche lei ha quel vizio: ne fuma quattro al giorno, una dopo il caffè, una dopo pranzo, una dopo il riposino pomeridiano e una dopo cena. Così deve arrendersi al fatto di avere un fantasma in casa, ma vuole sapere tutto. E scopre che si tratta della defunta mamma del suo defunto marito. In pratica la suocera che non ha mai conosciuto e che era stanca di darle segnali (spostare gli occhiali, i quadri, spaventare il gatto), senza essere minimamente notata. E invece Donna Concetta vuole parlare con qualcuno, è stanca di stare zitta. Margherita prova a sapere com’è nell’aldilà, fa domande, ma per tutta risposta la suocera sparisce in una nuvola di fumo...
Fare i conti con il proprio passato, anche quello che non si conosceva o che a priori si è volutamente ignorato... Accidenti che schiaffo che si prende quando si arriva a stare di fronte alla propria coscienza! Il romanzo si legge con piacere, ironico e surreale quanto basta da far appassionare alla storia. Una donna e un fantasma, strano binomio che nella realtà potrebbe suscitare più che altro ululati e fughe impaurite, ma che in questo ambito è un confronto serrato. Una, la viva, arrogante quanto basta da vantare la sua posizione di viva, appunto, anche se infelice, ma che pretende quasi di poter conoscere cosa succede nell’aldilà. L’altra, il fantasma, depositaria di verità e saggezza. L’una, la viva, curiosa e affamata di racconti, di storie di vita vissuta, di aneddoti sulla famiglia del povero marito, mentre l’altra, il fantasma, con un’infinita voglia di raccontarsi e di poter rivelare finalmente (visto che non le è stato possibile in vita) e a tutti, i particolari piccanti e non del suo trascorso su questa terra. Nessuna regola per chi può o non può vedere un fantasma, ma molta attenzione (finché è possibile) per chi ci riesce, anche per non essere presi per matti. Tra vicissitudini e tante rivelazioni, c’è la coscienza che alla fine fa pesare anche il solo guardarsi allo specchio, che rende le notti insonni e i giorni tristi, fino alla decisione di autopunirsi, perché ciò che non si è voluto vedere per tutta la vita tormenta l’esistenza di oggi, al punto da costringere a rivedere tutto, rivivere tutto, andare a ricercare i segnali ignorati. In verità a volte non serve nemmeno di poter vedere un fantasma per ritrovare i passi falsi, ciò che non si è voluto vedere del nostro passato. A volte ci arriva tutto all’improvviso, spinto da un particolare che ha attirato la nostra attenzione. Ma, in questi casi, c’è da chiedersi, siamo davvero sicuri che non ci sia lo zampino di un fantasma?