
Per una volta, non è la telefonata foriera di cattive notizie del buon Catarella a svegliare Montalbano di buon mattino; piuttosto il canto di un usignolo che pare essere parte dello strano sogno che sta facendo. Ma come, gli usignoli fischiettano “Il cielo in una stanza”? No, infatti. Il fischiettio viene dalla verandina dove uno strano barbone dall’aspetto misero ma elegante nei modi e forbito nel parlare ha trovato rifugio dalla pioggia. Uno strano risveglio per Montalbano… In commissariato gli comunicano che c’è stato l’omicidio di un pensionato, il ragionier Barletta, ucciso con un colpo di pistola alla nuca mentre era seduto a bersi un caffè nella sua cucina in un villino vicino al mare. Le indagini si presentano subito difficili, complicate dai risultati autoptici che rivelano la morte per avvelenamento del ragioniere, avvenuta prima dello sparo, e dalla scoperta che l’uomo non era quel che si dice una brava persona: si dedicava ad affari immobiliari poco leciti, praticava senza alcuno scrupolo l’usura e ricattava in vari modi le tantissime ragazzine appena maggiorenni con le quali amava sollazzarsi. L’assassino potrebbe essere chiunque in città. Montalbano comincia le indagini in maniera quasi svogliata e già dopo aver interrogato l’insignificante figlio del morto e la figlia - questa invece una bionda intrigante e misteriosa - avrebbe voglia di non trovare affatto il colpevole; tutto sommato l’assassino (o gli assassini, visto che tecnicamente sono due) non hanno fatto un grosso danno all’umanità, anzi. Ma l’uomo di legge non può certo soccombere a certi sentimenti “umani, troppo umani” e l’indagine prosegue, scoprendo lati sempre più squallidi dell’esistenza del ragioniere e della sua famiglia, snidando quello che davvero pare un covo di vipere , lì dove amore e odio, bene e male, giusto e sbagliato si confondono pericolosamente …
Più o meno a vent’anni dal primo successo delle indagini del commissario antieroe più amato dagli italiani, mentre le repliche televisive continuano a macinare ascolti notevoli – benché nel mortorio del palinsesto estivo – ecco puntuale il nuovo episodio delle storie di Salvo Montalbano, alle prese con una vicenda difficile dalla trama credibile ma spinosa. Al punto che lo stesso Camilleri nella nota finale sottolinea che questo romanzo è del 2008 ma che si scelse di ritardarne la pubblicazione perché il delicato tema appariva troppo simile a quello di un libro di poco precedente in cui lui si era arrischiato ad affrontarlo pur senza svilupparlo compiutamente, per una forma di pudore. Un tema scabroso come può esserlo ogni forma d’amore e concetto confuso d’amore (“Si chiama amore?” si chiede Montalbano) fuori dagli schemi della “normalità” delle convenzioni sociali e morali, delle leggi umane, di quelle che regolano i rapporti civili dalla notte dei tempi. Ma le schegge impazzite talora ignorano queste leggi fondanti e scelgono più o meno consapevolmente l’orrore, l’abiezione, dandogli nomi che a tutti gli altri paiono solo osceni. Eppure Montalbano-Camilleri si guarda dal dare un giudizio e il tema del romanzo si sposta in parte sulla compassione - benché mescolata al disgusto – anche attraverso preziose citazioni letterarie e cinematografiche. A cornice della vicenda e dei pensieri del protagonista tutti i personaggi che abbiamo imparato ad amare nel tempo e che arricchiscono la narrazione, comprimari simpatici, ironici, pasticcioni, divertenti, rompiscatole. Eppure. Già, nonostante le lettura di “un Montalbano” sia sempre piacevole c’è qualche nota appena stonata. Forse il fatto che i personaggi sembrano aver perso un po’ del loro smalto, forse la sensazione che le storie abbiano smarrito un po’ della loro vis, soprattutto perché presto il lettore intuisce gli sviluppi e gli esiti della storia, forse per questa fissa ormai costante per donne sempre bellissime e fatali (cui Montalbano si mostra sensibile assai più che in passato come fosse, a quasi sessant’anni, vittima di una crisi di mezz’età), queste impressioni insomma da un po’ di romanzi a questa parte cominciano ad infastidire appena. Ed è questo il motivo per il quale, pur essendo una dei tantissimi lettori di Andrea Camilleri, privilegiando tuttavia le storie extra-Montalbano, e non essendomi mai persa una sola sua indagine, non so dargli stavolta il massimo dei voti come ha sempre meritato. Forse, in fondo, Montalbano è stanco.