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Un litro di lacrime

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Aya ha quattordici anni e la sua vita trascorre luminosa tra le pagine dei libri che ama leggere, i banchi della scuola che frequenta, le amiche che custodiscono i suoi segreti e i buoni propositi prefissati in previsione di diventare un’adulta modello. Tra questi, prendersi cura dei fratelli minori ed impegnarsi a tenere un diario. È grazie a quest’ultimo che il mondo sa che l’adolescenza di Aya non ha avuto niente a che vedere con quella delle sue coetanee. Noi, come lei, assistiamo al suo cambiamento a mano a mano che le pagine si susseguono, o meglio ‘trascorrono’ assieme alle giornate delle quali tengono fedele traccia. Aya è affetta da atassia spinocerebellare, termine complicato con una traduzione semplice: a quattordici anni le cellule del suo cervelletto hanno iniziato a morire, causando difficoltà motorie, problemi alla vista e all’uso della parola. Nonostante la ricerca medica sia veloce e inarrestabile, la cura rimane ancora una lontana speranza. Quella di Aya diventa, inarrestabilmente, una vita in sottrazione. Ogni cosa raggiunta grazie alla ruggente fame di vita tipica degli adolescenti, a lei viene strappata senza pietà. Tuttavia, nessuno le può impedire di scrivere. Ogni giorno i suoi pensieri si rovesciano sulle pagine con la fanciullesca speranza e la fantasia di una ragazzina non ancora sbocciata in donna. Il rapporto litigioso con i fratelli, la gratitudine verso i genitori, la paura per i medici, le domande sul futuro e le lacrime. Tante lacrime, più di quante un occhio umano potrebbe conservare. Il viaggio inarrestabile verso una meta già segnata è un inno alla vita, a rivolgere il proprio sguardo verso il sole, verso il cielo azzurro, a ringraziare chi ci tiene per mano senza chiedere nulla in cambio e a camminare nonostante la fatica in nome di chi non può farlo…

Il diario di Kitō Aya fu pubblicato nella fase finale della sua malattia per volontà della madre. Il sogno di Aya era quello di diventare una scrittrice per poter parlare al mondo e così è stato. Un litro di lacrime diventò un libro di culto degli anni ’80 in Giappone, giungendo nelle nostre librerie dopo ben trent’anni. Nelle pagine iniziali del diario scopriamo insieme ad Aya, grazie alla prima TAC, la verità: una malattia degenerativa che non conosce via di scampo. Il diario è una forma di scrittura talmente intima che, se letto con la giusta predisposizione alla vicinanza umana, ci permette di sentirci seduti attorno al tavolo della cucina insieme alla famiglia Kitō, mentre la madre comunica la verità agli altri figli sulle condizioni della sorella. Ci sembra di essere con Aya ogni volta che cade per le gambe traballanti, ogni volta che qualcosa le sfugge di mano e ad ogni nuovo ricovero, pronti a sussurrarle che se lei getterà la spugna, lo faremo tutti. Dalla breve lettura, conclusa da due postfazioni a cura della dottoressa Yamamoto Hiroko e della madre di Aya, emergono riflessioni importanti sulla società Giapponese. La prima riguarda il ruolo della madre di famiglia. È lei stessa ad ammettere di non aver mai dato alla figlia l’esclusività del suo tempo, mantenendo pressoché inalterati i suoi doveri di madre e moglie nipponica: il lavoro, il marito, la casa e gli altri figli da crescere. Il secondo riguarda la società che ‘non aspetta’. Con il progredire della malattia, Aya è costretta a trasferirsi, su volontà dello stesso sistema scolastico, da un liceo pubblico ad una struttura per disabili, pur non presentando ancora infermità del tutto limitanti. Questo perché non è la società ad adeguare il passo, aspettando chi è più debole ed adeguandosi per venirgli in aiuto. Semplicemente, chi non tiene il ritmo, sta indietro. In conclusione, il volume non può e non deve essere letto con le aspettative di un romanzo. Esso è frammentato ed intimo come solo un diario segreto lo è. Le promesse del titolo vengono rispettate pienamente: la commozione la fa da padrone. Nonostante la tristezza inevitabile, il desiderio di vita che scatena nel lettore è immenso. Il velato senso di colpa che prova la dolce proprietaria del diario per via della sua condizione limitante è un insegnamento senza eguali: non c’è nulla di male nel soffrire. Per ripagare chi ci sta accanto basta essere grati e per ripagare noi stessi è necessario amare ciò che abbiamo, smettendo di rimpiangere ciò che ci è stato tolto.