
Nel settembre del 1956, l’artiglieria sovietica scatena una terribile offensiva militare contro Budapest. Il direttore dell’agenzia di stampa ungherese lancia un ultimo messaggio, prima che l’ufficio venga distrutto: “Moriremo per l’Ungheria e per l’Europa”. Per gli europei occidentali, era in ballo un regime politico. Per quegli europei delle piccole nazioni, come Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia, era a repentaglio l’identità europea stessa. Nella storia, queste nazioni hanno sempre gravitato intorno alla cristianità romana, hanno sempre utilizzato l’alfabeto latino. Europa è una questione spirituale di appartenenza: per questo, quando queste nazioni si ritrovano politicamente assoggettate all’Oriente, rischiano di smarrire la propria identità. Di qui le situazioni paradossali di esse; di qui le rivolte del ’56 in Ungheria, del ’68 a Praga e le molte in Polonia. L’impero austriaco aveva garantito uno Stato forte in Europa centrale, uno Stato della massima diversità nel minimo spazio; e questo ha portato a una fioritura culturale notevolissima. Ora, questa cultura è minacciata da un’identità altra, opposta: quella della minima diversità nel massimo spazio, quella russa ed orientale. E però quell’Occidente, della cui Storia le piccole nazioni sono sempre rimaste ai margini, a cui tuttavia appartengono e alla cui identità culturale aspirano; quell’Occidente è l’Europa di ieri. Oggi, essa non è più il luogo della modernità, della cultura, delle riviste, della partecipazione politica. I Lumi hanno lasciato il passo, ma a cosa? Alla tecnica, ai media, al mercato? Le rivolte nelle nazioni centrali hanno un che di anacronistico: il loro principale nemico non è tanto il centralismo e il livellamento russo, quanto il disfacimento dell’Europa come identità...
Questo brevissimo volume raccoglie, come già l’edizione francese per Gallimard del 2021, due testi molto particolari di Milan Kundera, il notissimo autore ceco de L’insostenibile leggerezza dell’essere. Il primo scritto è l’intervento tenuto da Kundera al Congresso degli scrittori del 1967, a qualche mese dall’avvio della Primavera di Praga. Per il sostegno a tale movimento di liberalizzazione, Kundera sarà estromesso dall’insegnamento e dal Partito ed emigrerà, qualche anno più tardi, a Parigi. Il suo intervento al Congresso non è soltanto una critica alla censura e all’oppressione, ma anche e soprattutto una difesa delle “piccole nazioni”, come quella Ceca, di quei popoli che proprio nell’incertezza della loro esistenza hanno storicamente costruito un’identità e che ora rischiano di vederla crollare di fronte all’integrazione e all’internazionalizzazione della cultura. Che le nazioni dell’Europa centrale siano, nella loro particolarissima piccolezza, vera Europa: questo è il tema del secondo scritto qui presentato e da cui il volume prende il titolo, cioè l’articolo che Kundera pubblica nel 1983 su “Le Débat”. Pochi anni prima della rivoluzione di velluto e del disfacimento del blocco orientale, lo scrittore ceco lancia un’accusa angosciata all’Europa occidentale, che ha abbandonato le nazioni ceca, polacca, ungherese tra le altre all’integrazione con un Oriente estraneo ed oppressivo. Questa lettura, breve quanto tagliente e incisiva, offre uno spaccato profondissimo dell’identità dell’Europa centrale e una riflessione, oggi più che mai attuale data la violenta recrudescenza dell’imperialismo russo contro l’Ucraina, sull’appartenenza all’Occidente e sulla (o sulle) identità europee.