
19 luglio 1992, domenica. Sono accadute molte cose, in questo giorno. Il toscano Claudio Chiappucci ha vinto la tappa odierna del Tour de France. Gianni Mineo, custode presso l’Istituto di Mineralogia, Petrografia e Geochimica dell’Università di Palermo, ha approfittato di un turno extra al lavoro per guardare la gara ciclistica in tv. Il suo sguardo è distolto solo per un istante, a causa di un rapido guizzo del sismografo. In quello stesso momento Paolo Borsellino, magistrato e procuratore aggiunto alla Procura della Repubblica di Palermo, muore in via Mariano D'Amelio a seguito dell'esplosione di circa 100 chili di tritolo nascosti in una Fiat 126 di colore rosso. Con lui muoiono gli agenti della sua scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina…
Dieci anni prima (1982) è entrata in vigore la legge 646 - nota anche come “Legge Rognoni – La Torre” - che ha introdotto nel Codice Penale il reato di associazione mafiosa. La legge è stata proposta e approvata in un tempo record, pochi giorni dopo l'omicidio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Fino a quel momento, i reati di stampo mafioso erano puniti come associazione per delinquere. Ovvero, la parola mafia non esisteva esplicitamente nel Codice Penale italiano. Dieci anni dopo Elena Invernizzi e Stefano Paolocci scrivono a quattro mani un romanzo-inchiesta che ripercorre la strage di via D'Amelio intorno alla figura chiave di Vincenzo Scarantino, “il picciotto della Guadagna”, l'uomo arrestato due mesi dopo la strage con l'accusa di aver commissionato il furto dell'automobile. L'uomo che, tra ripetute confessioni e ritrattazioni, sarà per anni la figura chiave dei processi. Il 15 settembre 1998, durante un'udienza al Tribunale di Como in cui fece la sua prima ritrattazione pubblica, denunciò di essere stato “usato come un orsacchiotto con le batterie e costretto a prendere in giro lo Stato con le minacce”. Perché “il collaboratore di giustizia quando parla, di più parla, più è credibile. Di più dice bugie, più è credibile. Se uno dice la verità non è credibile...”. Il libro si compone di singoli episodi che ruotano intorno alla figura del magistrato chiamato a revisionare le carte dei processi. Tra una chiacchierata con il portiere e il ricordo della madre ripercorre a flash gli ultimi vent'anni, saltando avanti e indietro nel tempo per ricostruire i passaggi storici e giudiziari che hanno portato lui e tutti noi, ancora oggi, al non possedere una “verità compiuta” su quanto avvenne. Di quanto accadde quella domenica restano solo le domande: chi ha rubato la Fiat 126? Attraverso quali mani e quali luoghi è passata, prima di essere parcheggiata in via D'Amelio la mattina del 19 luglio? Che fine ha fatto l'agenda rossa di Paolo Borsellino, contenuta in una valigetta portata via da un “uomo in divisa” pochi minuti dopo la strage? Nota conclusiva: Mariano D'Amelio, l'uomo al quale è intitolata la via in cui morì Borsellino, fu a sua volta un magistrato. Nato nel 1871 e morto nel 1943, è stato – fra le altre cariche ricoperte in vita – il primo presidente della Corte suprema di Cassazione, istituita nel 1921.
Dieci anni prima (1982) è entrata in vigore la legge 646 - nota anche come “Legge Rognoni – La Torre” - che ha introdotto nel Codice Penale il reato di associazione mafiosa. La legge è stata proposta e approvata in un tempo record, pochi giorni dopo l'omicidio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Fino a quel momento, i reati di stampo mafioso erano puniti come associazione per delinquere. Ovvero, la parola mafia non esisteva esplicitamente nel Codice Penale italiano. Dieci anni dopo Elena Invernizzi e Stefano Paolocci scrivono a quattro mani un romanzo-inchiesta che ripercorre la strage di via D'Amelio intorno alla figura chiave di Vincenzo Scarantino, “il picciotto della Guadagna”, l'uomo arrestato due mesi dopo la strage con l'accusa di aver commissionato il furto dell'automobile. L'uomo che, tra ripetute confessioni e ritrattazioni, sarà per anni la figura chiave dei processi. Il 15 settembre 1998, durante un'udienza al Tribunale di Como in cui fece la sua prima ritrattazione pubblica, denunciò di essere stato “usato come un orsacchiotto con le batterie e costretto a prendere in giro lo Stato con le minacce”. Perché “il collaboratore di giustizia quando parla, di più parla, più è credibile. Di più dice bugie, più è credibile. Se uno dice la verità non è credibile...”. Il libro si compone di singoli episodi che ruotano intorno alla figura del magistrato chiamato a revisionare le carte dei processi. Tra una chiacchierata con il portiere e il ricordo della madre ripercorre a flash gli ultimi vent'anni, saltando avanti e indietro nel tempo per ricostruire i passaggi storici e giudiziari che hanno portato lui e tutti noi, ancora oggi, al non possedere una “verità compiuta” su quanto avvenne. Di quanto accadde quella domenica restano solo le domande: chi ha rubato la Fiat 126? Attraverso quali mani e quali luoghi è passata, prima di essere parcheggiata in via D'Amelio la mattina del 19 luglio? Che fine ha fatto l'agenda rossa di Paolo Borsellino, contenuta in una valigetta portata via da un “uomo in divisa” pochi minuti dopo la strage? Nota conclusiva: Mariano D'Amelio, l'uomo al quale è intitolata la via in cui morì Borsellino, fu a sua volta un magistrato. Nato nel 1871 e morto nel 1943, è stato – fra le altre cariche ricoperte in vita – il primo presidente della Corte suprema di Cassazione, istituita nel 1921.