
Genova, febbraio 1992. Paolo Luzi è un magro patetico depressone trentottenne: dieci anni prima un disastro gli ha sconvolto l’esistenza, niente di peggio poteva capitargli, pseudovivacchia solo e indigente in una vecchia casa colonica sulle alture (sopra Porta delle Chiappe). Da quel dì non ha relazioni sessuali né va al cinema o ascolta musica, non frequenta amici e non ride mai (pur dopo essere stato un ragazzo allegro sportivo vitale), mantiene un discreto rapporto con mamma e papà (idraulico fedifrago), legge molti romanzi e fuma toscani, gli basta poco per sopravvivere (è pure vegetariano). Ha ripreso comunque a fare lo psicoanalista, tutto il giorno in studio da mattina a sera dal lunedì al venerdì (anche senza appuntamenti). Un giorno piovoso trova sull’ultimo gradino al secondo piano (ufficio in via san Bernardo) una bizzarra ragazza che legge, Teresa, capelli rossi e occhi verdi, imbacuccata non sembra bella. Gli aveva lasciato un biglietto in farmacia, chiede consulenza: dai tempi del liceo sta con l’altrettanto puro e povero Luca, che da tre anni è sposato con la comune antica ricchissima amica Sonia. Teresa e Luca continuano ad amarsi vedendosi segretamente tutti i giorni, ora lui le ha confessato di non sopportare più di tenere un piede in due staffe e lei confessa che presto lo ammazzerà. Il fatto è che Paolo capisce se qualcuno gli mente (il collo s’irrigidisce e la testa comincia a girare), riconosce le menzogne per via psicosomatica. Teresa sta mentendo. Qualche giorno dopo Luca viene ucciso. E Paolo si sente chiamato in causa; tanto più che Teresa aveva avvisato anche altri, ci sono indizi, viene arrestata; neanche il pacioso commissario, tal Ingravallo (suo malgrado) Diego, alto e robusto, molisano di Bressanone, non è convinto della colpevolezza. Ne accadranno delle belle...
L’ottimo psicoterapeuta del servizio pubblico Bruno Morchio (Genova, 1954) sfida stereotipi e preconcetti dei suoi mestiere sociale e genere letterario con un bel giallo sentimentale. Narrazione in terza varia: gruppo di amici con delitto, coppia di poliziotti con il vice in romanesco, in parallelo altra coppia di investigatori sodali, storia d’amore in progress del sopito Paolo da risvegliare. C’è di che aspettarsi il seguito! Vi sono un preludio e due interludi in corsivo sull’amore con incipit poetici di Dante, Leopardi e ancora Dante, il filo di pensieri di chi arriva a togliere la vita altrui (purché non sia l’amato o l’amata), quando ritiene ci si macchi del crimine di spezzare incantesimi sentimentali che meritano assidua dedizione. Il titolo è, dunque, solo un modo comune di dire per descrivere i casi della vita, un piede unico e due scarpe diverse talora da indossare. E la vicenda ha molti casi clinici che intersecano l’indagine, i dialoghi del dottore con vari pazienti, storie realmente vissute riportate con garbo e acume, in sintonia con un pensiero critico e ironico. L’anno di “Mani pulite” rimane sullo sfondo, l’intreccio vuole essere giallo (piccolo gruppo di possibili colpevoli per dinamiche psicologiche descritte con competenza professionale) e rosa (le dipendenze nella relazione amorosa, talvolta reciproche, per un sacrificio simbolizzato dalle camelie). Interessanti le implicazioni relazionali dei lavori di padre e figlio. Madre e moglie odiavano la collina senza motivo (pensa Luzi citando il jazz di Conte). Attenzione: pasta al pesto col rosso (il barbaresco va bene), anche se poi ci si butta sul costoso Dom Pérignon per fare sesso (finalmente).